Chi ha iniziato ad utilizzare Internet negli anni ’90, ricorda benissimo che online ci si identificava tramite un nickname: il mio soprannome “Tagliaerbe”, se ancora non lo sapessi, nasce proprio in quel periodo 🙂 Praticamente nessuno utilizzava il proprio nome e cognome, che anzi si tendeva a nascondere per bene unitamente a indirizzo, foto e altri dati che potevano permettere a terzi di individuarci facilmente durante le varie scorribande in Rete. Oggi le cose son cambiate radicalmente: Facebook (e successivamente Google, con Google+) ci hanno di fatto “obbligati” a creare un profilo con dati reali, dandoci in cambio il beneficio di riconnetterci con i contatti del nostro passato (o anche con quelli del nostro presente, che magari reputiamo interessanti a livello di business). E secondo Eric Schmidt, per 10 anni CEO e ora Executive Chairman di Google, il futuro online sarà sempre meno anonimo. Da un lato, c’è un motivo politico: “Alcuni governi ritengono troppo rischioso avere migliaia di cittadini anonimi, non tracciabili e non controllabili – un “popolo nascosto””, afferma Schmidt. “Vorranno sapere chi è associato ad ogni account online, verrà fatta una verifica a livello di Stato, al fine di esercitare un controllo sul mondo virtuale”. Ma c’è un altro passaggio nel pezzo del WSJ, che merita (a mio parere) grande attenzione, e che per molti versi è legato a quello qui sopra. Parlando di motori di ricerca, Schmidt dice che “all’interno dei risultati, le informazioni legate a profili verificati avranno un posizionamento migliore rispetto ai contenuti che non hanno passato questa verifica, cosa che si tradurrà in un maggior numero di click sui risultati verificati posizionati più in alto. Il vero costo di rimanere anonimi, potrebbe dunque essere l’irrilevanza”. Schmidt, come già sottolineò Cutts mesi fa, ci sta dunque dicendo che l’essere identificabili diverrà obbligatorio se puntiamo ad un buon posizionamento su Google: anonimato = sparizione dai primi posti delle SERP. E’ il concetto di authorship e author rank di cui si parla da mesi, ovvero del collegare il proprio account Google ai propri contenuti: il risultato sarà un aumento del trust (=identifica una risorsa della quale poter aver fiducia), della reputation (=consente di riconoscere chi ha una buona reputazione online) e infine un miglior posizionamento nel motore di ricerca, almeno stando a quanto afferma Eric Schmidt (che dentro Google conta ancora qualcosa, visto il titolo che ha sul biglietto da visita). Per gli anonimi, per chi si nasconde dietro uno pseudonimo, per chi non ci mette la faccia, si prospetta dunque un futuro difficile: non solo saranno perseguitati da certi governi, ma faranno pure fatica ad arrancare fra le pagine di Google.