Colgo l’occasione della pubblicazione della ricerca “Ericsson ConsumerLab Tv and Video Report 2012” (disponibile qui) per raccogliere dati e considerazioni su un fenomeno emergente e sempre più nitido: l’esperienza del second screen e della social tv. Emergente ma non troppo, in realtà, perché i primi tentativi di interazione con il telespettatore mediante la televisione risalgono al 1999 quando la BBC, in occasione di un’edizione di Wimbledon, introdusse il “Red Button“, ovvero la possibilità di accedere a dei contenuti extra, relativi alla trasmissione visualizzata in quel momento, mediante la pressione del pulsante rosso presente in praticamente tutti i telecomandi. Dalla ricerca menzionata all’inizio emerge, per l’Italia, un quadro così composto: • il 69% dei consumatori, utilizza i social network durante la visione delle trasmissioni televisive (18% in più rispetto allo scorso anno) • il 30% dei consumatori utilizza i social network per discutere in real time quello che viene trasmesso in televisione • la maggior parte dell’utenza è rappresentata dal segmento femminile (66%) Attingendo ad altre ricerche – riferite al panorama mondiale – aggiungiamo che: • l’86% dei telespettatori guarda la televisione con a fianco il proprio device; • la classifica dei device più utilizzati di fronte alla televisione è: (a) laptop; (b) smartphone; (c) tablet (è facile intravedere una sorta di grado di anzianità/diffusione in questa mini-classifica) • il 44% dei telespettatori è favorevole a procedere con un acquisto dopo aver visto il prodotto in televisione • il 50% dei consumatori afferma che avere contenuti e servizi personalizzati sia un aspetto fondamentale per la “nuova televisione” • il segmento 18-24 anni è pari – solamente – al 9% • agli occhi del telespettatore, se una trasmissione considera aspetti legati alla second screen experience e alla social tv, questa ne guadagna in termini di credibilità ed autorevolezza Ciò che ha favorito l’evoluzione di questa tendenza in un fenomeno di massa, secondo gli esperti, è da ricondurre principalmente a due elementi: (a) la diffusione ormai massiva di dispositivi touchscreen; (b) Facebook Opengraph, che ha reso estremamente semplice la condivisione dei contenuti televisivi nei social network. Ma a livello contenutistico, esattamente cosa significa questo fenomeno? Semplificando, esso consente di centrare questi tre obiettivi: • fornire contenuti extra/bonus al telespettatore • stimolare il telespettatore a dare seguito immediato a una call to action • estendere il messaggio che, tradizionalmente, è imprigionato all’interno di uno spazio di 30” E tutto ciò oggi succede mediante due canali: i social network (nello specifico Twitter che, a livello di strategia, sta investendo moltissimo in partnership con i produttori televisivi: BigBrother, XFactor, NBA) e le applicazioni per device mobile. Lo sviluppo di applicazioni sta seguendo due filoni ben distinti. Un primo insieme raccoglie applicazioni che hanno tratti comuni: guide tv interattive, possibilità di comandare la televisione, abilità di “parlare” ai VDR (video digital recorder), autosync (audio fingerprint), raccolta delle raccomandazioni degli “amici“, possibilità di attivare una conversazione (social) attorno a quello che si sta guardando. Qui ritroviamo applicazioni quali: Shazam Tv, Zeebox, IntoNow (di Yahoo!), Umami, BuddyTv, Miso, GetGlue, TvGuide.com. Alcune di queste applicazioni, per distinguersi, stanno sviluppando specifiche peculiarità; Miso, per esempio, sviluppando SideShow (aperto a tutti ma limitato alla lingua inglese) rappresenta il primo esperimento di “user generated content” associato a una trasmissione seguita in diretta. Il secondo filone, invece, ha a che fare con lo sviluppo di applicazioni esclusive per una sola trasmissione, un unico film oppure fruibili in occasione di uno specifico evento. Dal secondo insieme di applicazioni è interessante citare questi esempi: Chevy Game Time app (video), Heineken per UEFA (video), RedBull e Shazam (video), Grey’s Anatomy (video). Qualora si decida di percorrere questa strada, è bene considerare, in termini di investimenti, un impegno ulteriore per supportare la promozione e favorire il download dell’applicazione. Tra gli utenti online che dibattono l’argomento si sta raggiungendo un punto di comune accordo attorno al concetto di aggregazione. Si va nella direzione di preferire delle applicazioni che, in qualche maniera, generano una specie di layer tra i contenuti relativi alla trasmissione televisiva e l’utente; questa soluzione è più scalabile ed in grado di assorbire prima gli investimenti pubblicitari a sostegno del download. Inoltre, a livello di usabilità, salvaguarda la possibilità per l’utente di passare da un canale all’altro; in questo senso, una via di mezzo la stanno percorrendo i network americani, realizzando applicazioni che consentono all’utente di navigare tra i contenuti e le conversazioni relativi agli spettacoli di loro proprietà. Quasi unanime la posizione per cui non conviene sviluppare un’applicazione verticale (su uno spettacolo o un evento) anche se, in un ecosistema comunque giovane come questo, realizzare un’applicazione per la second screen experience genera quel “rumore” sufficiente a guadagnarne in termini di ritorno d’immagine. In Italia ci siamo associati più spesso al secondo filone, e ciò è forse comprensibile da un punto di vista commerciale. Citiamo ad esempio le applicazioni per “Le Invasioni Barbariche” (La7) e “XFactor” (Sky), sviluppate entrambe dalla startup HyperTV. Al di là di questo, in realtà, il trend che va per la maggiore nel nostro Paese, è quello di riversare nei social network (Twitter e Facebook in primis) commenti e considerazioni partecipando alla conversazione; le trasmissioni più dibattute sono: “Piazza Pulita”, “La Prova del Cuoco”, “Ballarò” e “The Apprentice” (fonte: Blogmeter). Un tentativo di aggregazione mediante un’applicazione mobile, ancora nella lista delle “cose da fare”, è rappresentato da Commentaindiretta.it. In coda a questo scenario, uno degli argomenti più discussi riguarda la pubblicità, per il fatto che il second screen richiama l’attenzione dell’utente distogliendola dalla televisione proprio durante le pause pubblicitarie: una bella grana per i brand che investono in TV. A tal proposito introduco due aspetti che, dal mio punto di vista, dovrebbero essere considerati con attenzione crescente. In primis, allineare la comunicazione tra lo spot televisivo e la presenza, ad esempio, nei social network. I grandi brand, soprattutto le telco, corredano lo spot (nei frame di chiusura) con i loghi dei social network presidiati. La criticità emerge nel momento in cui l’utente decide di dare seguito a quell’indicazione e raggiungere il profilo social col proprio device; parlo di criticità perché molto spesso i messaggi veicolati da spot TV e social non sono allineati. Ad esempio, se nello spot è stata presentata una promozione, lo status update che la descrive deve essere posizionato in testa alla timeline di Facebook ed esteso su tutta la superficie (pixel), altrimenti l’utente è costretto a scorrere la pagina per trovare – se ci riesce – il messaggio appena promosso in televisione. E questo evidentemente non va bene. In seconda istanza, iniziare a sfruttare i “momenti” e i “luoghi” associati a un programma TV. Da un lato, sfruttando le funzioni più recenti, ad esempio di Google AdWords, che consentono di pianificare una campagna fino al dettaglio della fascia oraria, dall’altro osservando (e magari partecipando a) quelle conversazioni che la trasmissione stessa genera. Stanno inoltre emergendo delle risposte al problema del calo di attenzione durante lo spot pubblicitario; date un’occhiata al video di SecondScreen Networks e alla tecnologia Sync Ads, soprattutto al secondo 0’42”. Si vedrà che, alla comparsa dello spot in televisione, questo viene riproposto anche sullo schermo del device sincronizzato con esso. Per gli advertiser il fenomeno del second screen e della social tv rappresenta un’opportunità enorme: nuovi software e tecnologie permetteranno di incrociare i gusti e le preferenze degli utenti servendo così dei contenuti (e della pubblicità) in linea con i loro profili. E’ in questo senso che si spiega l’acquisizione di Fflick da parte di Google per il progetto Google TV. Altro aspetto strettamente connesso a questo fenomeno è il “couch commerce”, concetto che descrive, semplificando, questa situazione: l’utente guarda la televisione e procede con l’acquisto da device mobile comodamente seduto a casa sua. Questa frase “nasconde” tre concetti importanti; il più affascinante è quello rappresentato dal termine “comodamente”: l’acquisto online, a livello cognitivo, è ancora un momento “stressante” (nonostante in rete si acquisti sempre di più) e l’ambiente nel quale l’azione si svolge, in questo frangente la propria casa, ha un peso specifico determinante per la buona riuscita dell’acquisto. Ci sono due informazioni che, in qualche maniera, obbligano a dare le giuste attenzioni al couch commerce: la prima è un’indagine di Google che descrive quanto la televisione influenzi e dia il via a ricerche ed acquisti che poi succedono su altri dispositivi (smartphone, tablet)(qui il link). La seconda è la diffusione di iPad che, praticamente da solo rappresenta il Italia il mercato dei tablet (Tim Cook, CEO di Apple, dice che in due anni si arriverà a vendere 67 milioni di iPad). Inoltre c’è chi sta percorrendo una strada volta ad accorciare ulteriormente il ciclo d’acquisto che vede coinvolti televisione e dispositivi mobile. Guardate il video di presentazione di “Watch With eBay”, l’applicazione per iPad di eBay che consente di acquistare i prodotti presenti nella trasmissione che si sta visionando in un dato momento:

Infine, nonostante si possa affermare che il fenomeno sta vivendo una sua seconda e più decisa giovinezza, già si intravedono implementazioni future: • televisioni che integrano al loro interno delle social sidebar per dare spazio alla conversazione riferita alla trasmissione (VieraTV di Panasonic); • Shazam che fa un accordo con la lega di baseball americana (MLB) per consentire ai tifosi che stanno guardando (allo stadio!) una partita di accedere a contenuti extra (punteggi, statistiche); • applicazioni che permettono di ottenere dei riconoscimenti (biglietti per il cinema, iTunes Card) sulla base di “quanta” televisione stiamo guardando (“Watch TV. Get rewarned”, Viggle). Dal mio punto di vista, però, intravedo degli ambiti che non sono stati ancora sufficientemente esplorati: da una parte il fatto che il vero momento in cui recuperare l’attenzione dell’utente è quello dello spot televisivo (quindi non vedo troppo positivamente il fornire contenuti extra mentre guardo un film; gli occhi sono sempre due). Dall’altra il fenomeno dello zapping, anche se esistono già dei dispositivi che consentono di evitare una sorta di continuo “resync” al cambio di canale. Per continuare a tenersi aggiornati, suggerisco di seguire questi due account Twitter (in italiano): @socialtvit, @thenexttv. Per prendere visione, invece, di interessanti best practices e case history, vi invito a scaricare questo documento (PDF, link). Autore: Marco Ziero di MOCA Interactive Srl, per il TagliaBlog.