Giorni fa, cercando in YouTube cose sulla New Economy, mi è capitato fra le mani un video che credo risalga ad una buona decina d’anni fa. All’interno compare un giovanissimo Gianluca Dettori, senza la fluente capigliatura da surfista che oggi lo contraddistingue, il quale interrogato da Alan Friedman sul fatturato della sua nascente Vitamic riesce dapprima a schivare il colpo, per poi mandare KO il conduttore sparando la cifra che ipotizza di raccogliere dal collocamento della sua società in Borsa: “qualche centinaio di miliardi” (di vecchie lire). Se Friedman strabuzza gli occhi è invece curioso notare i toni estremamente tranquilli del banchiere Ubaldo Livolsi, il quale senza per nulla scomporsi dice si, “è possibile”. Sappiamo come andò a finire: Vitaminic riuscì a quotarsi e rastrellare parecchi soldini, si fuse con Buongiorno e oggi è ancora lì, con le azioni un (bel) pò deprezzate ma che da marzo 2009 ad oggi hanno comunque triplicato il loro valore. E Alan Friedman, che (probabilmente) dopo quell’episodio si “convertì” al nuovo credo neweconomista, firmò la prefazione di Opengate, storia di un successo. Il libro cantava le mirabolanti gesta di una azienda tecnologica del Nuovo Mercato (distante pochi chilometri da casa mia), azienda che pochi mesi dopo la pubblicazione di quel volume iniziò la sua caduta nel baratro, conclusasi con fallimento dichiarato dal Tribunale di Varese a fine 2004 (e con 42.000 risparmiatori rimasti con un pugno di mosche). Perchè questo tuffo nel passato? i motivi sono almeno un paio. Innanzitutto, per ricordare che delle poche società che emersero in quell’euforico periodo, sono pochissime quelle che ancora oggi sopravvivono. E ancora meno quelli che han saputo monetizzare, mentre tanti, tantissimi han perso (nel migliore dei casi) il posto di lavoro, se non tutti i loro sudati risparmi. Io ho attraversato indenne quell’epoca cedendo, per pochi soldi, la mia piccola startup (un Internet POP), ma “cadendo in piedi”: altri amici non hanno (purtroppo) avuto la stessa fortuna. Secondariamente, per fare il punto sul ruolo delle banche. Oramai riesci a farti prestare soldi solo se dimostri di possedere più soldi di quelli che chiedi. E’ quantomeno utopistico pensare di riuscire a farsi finanziare un buon progetto web se non si ha una adeguata copertura, ottime conoscenze o un colpo di fortuna da 6 al SuperEnalotto. Due lustri fa, cose strane e fumose come FreedomLand finivano tranquillamente in Borsa. E oggi? Vedo in giro troppi “progetti-fotocopia”. Troppa gente che vuole ricreare la ruota. Troppi tentativi di imitare Facebook e Twitter. Troppi giovani che, invece che ideare qualcosa di davvero innovativo, passano il tempo a creare siti/blog MFA (Made For AdSense). Sull’altro lato, non vedo la numerosità di VC tipica di altri paesi, non vedo personaggi pronti a scommettere sui giovani (e meno giovani), non vedo dighe in grado di arginare la fuga dei cervelli. Mi chiedo quindi: in Italia, mancano i soldi o mancano le idee?