registrai yahoo.it

Questa è una storia che in pochissimi sanno.

Si tratta di un episodio del lontano 1995 (se la memoria non mi inganna…), epoca nella quale Internet iniziava timidamente a diffondersi nel Bel Paese, ed è scritto solo per dimostrare quanto ero ingenuo, poco furbo (o sognatore ?) all’età di 26 anni.

La storia

Già allora passavo la maggior parte della mia giornata immerso in Internet, usando Trumpet Winsock (per connettermi), Eudora (per l’email) e Netscape (come browser). Non facevo ancora il consulente SEO, anche perché Google non esisteva e i motori di ricerca stavano emettendo i primi vagiti.

Allora utilizzavo spesso Yahoo!, del quale ricordo era attiva anche l’URL www.stanford.edu/yahoo (sembra incredibile pensare che un motore così famoso avesse come indirizzo una sottodirectory di una università, ma tant’è).

Yahoo! iniziava pian piano a diffondersi in vari stati e in varie lingue, ma non in italiano: digitando www.yahoo.it non si otteneva un bel nulla, il dominio non era registrato.

Proprio così, nel 1995 esistevano ancora milioni di nomi a dominio interessanti (e soprattutto liberi), e ancora oggi penso che se avessi investito qualche centinaio di milalire (allora non c’erano gli euro…) in qualche bel dominio (anziché in un router Cisco 2511 con 16 modem 14.400, collegati ad una CDN 64K), magari a quest’ora sarei ricco… ma le cose andarono diversamente.

Come dicevo, yahoo.it non esisteva, né come sito, né come dominio. Mi venne quindi la malsana idea di registrarlo.

Contattai un caro amico, F.F., il quale già allora aveva uno spazio web su Hurricane Electric (e al quale, fra l’altro, avevo venduto pochi mesi prima un abbonamento internet dial-up ), e partimmo con la registrazione del dominio .it. Quelli di Hurricane Electric, avvisati del fatto che volevamo puntare il DNS verso di loro, ci risposero via email con una cosa del tipo “are you really really sure???”, ma noi andammo avanti.

Io iniziai a tradurre tutto l’albero della directory da inglese a italiano, e lavorammo anche sul logo (Yahoo! Italia con una torre di Pisa al posto del punto esclamativo).

Tengo a precisare che, nella mia assurda ingenuità di quel tempo, l’obiettivo non era di lucrarci rivendendo il dominio a Yahoo!, bensì di andarci a lavorare, magari nella futura costituenda filiale italiana.

Comunque sia, il dominio venne registrato, e già allora, nel “lontano” 1995, la prima pagina vuota che mettemmo online (costituita esclusivamente da un piccolo form con un bottone “cerca”) faceva valanghe di accessi spontanei (alcuni dei quali, verosimilmente, anche da PC collegati alla rete di yahoo.com), che monitoravamo costantemente con occhi (quasi) lucidi.

Scrivemmo quindi a Yahoo!, descrivendo il nostro assurdo progetto, ovvero quello di far parte della futura filiale italiana, e del fatto che ci stavamo già lavorando sopra giorno e notte.

La risposta via email (ovviamente) non arrivò mai.

Cta SEO

Dal mio fax, alcuni giorni dopo, uscirono invece alcune pagine, la cui prima era come una doccia gelata: conteneva infatti esclusivamente nomi di avvocati.

Mi recai nel loro studio, a Milano, e mi spiegarono (molto gentilmente) che il marchio Yahoo non è registrabile e/o utilizzabile da nessuno in nessun luogo del mondo, e pertanto, se non volevo impelagarmi in problemi legali, avrei dovuto immediatamente restituire il dominio.

Ovviamente lo feci, non guadagnandoci sopra nemmeno una lira, e da allora mi passò per sempre l’idea di guadagnare col cybersquatting (o domain grabbing che dir si voglia).

P.S.: poco tempo dopo, inspiegabilmente, il dominio yahoo.it se lo prese un cybercafé di Roma, che penso abbia poi ricevuto una “letterina” simile alla mia…

Conclusione

Con questo episodio, mi rendo conto di essere stato, mio malgrado, uno dei primi cybersquatter italiani, cosa che non mi fa assolutamente piacere (anzi, fondamentalmente me ne vergogno).

Alcuni probabilmente non crederanno a questa storia, o mi prenderanno in giro, o penseranno che voglia solo “bullarmi” e vantarmi di una bravata fatta anni fa.

In realtà voglio solo riportare in vita il ricordo sbiadito di un piccolo frammento della prima new economy, e consegnarlo alla storia.

scritto da Davide “il tagliaerbe” Pozzi