Con l’avvento di ebook reader e tablet, qualcuno ha pensato che la fruizione – a quindi le vendite – non solo di libri, ma anche di quotidiani e riviste in formato digitale, sarebbe esploso. “New times demand new journalism”, disse Rupert Murdoch quando lanciò The Daily nel Febbraio 2011: purtroppo, però, 100 giornalisti e 30 milioni di dollari (annui) di investimento non sono bastati a salvare Murdoch dal flop, che a Dicembre del 2012 ha chiuso il suo tablet-quotidiano dichiarando “non abbiamo trovato un pubblico sufficiente abbastanza in fretta da convincerci che il business model sarebbe stato sostenibile sul lungo periodo”. Già, il modello di business. Il concetto di (riuscire a far) pagare l’informazione pare sia un’utopia sul web: dove c’è gente che si rifiuta pure di visualizzare un banner, figuriamoci se è possibile applicare un costo per la fruizione di un contenuto. E’ quindi con una certa sorpresa che ho letto i dati di diffusione di quotidiani, settimanali e mensili digitali italiani, relativi a Giugno-Luglio 2013. Ho scaricato i fogli excel relativi alla “classifica copie digitali”, giusto per capire se i numeri che leggevo sulla pagina (numeri piuttosto interessanti, perlomeno per le posizioni alte della classifica) fossero confermati. In effetti i numeri sono giusti, ma nella parte superiore del foglio di calcolo leggo “copie + vendite multiple + vendite abbinate”. E qui inizio a sentir puzza di bruciato: vuoi vedere che le vendite delle “copie digitali” sono state pompate ad arte da abbinamenti o cavallotti strani con le copie cartacee o altre riviste digitali? Scarico allora i fogli excel relativi ai “dati integrali”, ed ecco cosa scopro. Parto dai mensili, perché mi ha colpito il balzo al primo posto di Focus, passato da 2.973 copie/mese di Maggio a 112.257 (!) di Giugno: la colonna “vendite copie digitali” segna però 3.360. In “vendite abbinate copie digitali” vedo 108.897, che sommato a 3.360 fa proprio 112.257: quindi, senza “l’abbinamento” (che immagino sia inteso con qualche altra rivista digitale o cartacea: se non è così qualcuno che sa lo dica nei commenti), il valore del digitale è irrilevante, se preso da solo. Ed è anche economicamente NON sostenibile: Wired, che dovrebbe avere un pubblico più predisposto ad acquistare un magazine su tablet, segna 2.143 vendite mensili (e 1.682 nella colonna “vendite abbinate copie digitali”). Scorro la classifica e vedo al quinto posto Sale&Pepe, con 29.069 copie (e 2.125 “vendite copie digitali” nel foglio excel). Di Sale&Pepe, su App Store, trovo sia un’app (“Le Ricette di Sale & Pepe”), venduta a € 3,59, sia un'”app-contenitore” gratuita, tramite la quale è possibile acquistare i singoli numeri della rivista di cucina; una versione, sempre gratuita, della stessa “app-contenitore” è disponibile anche sul Play Store di Google. Mondadori ha anche una sua “app-kiosk” proprietaria, denominata “Abbonamenti.it”, disponibile sia su iOS che su Play Store. All’interno di questa è possibile acquistare enne riviste, molte delle quali sono ben posizionate nella classifica. Ma queste riviste, come la stessa Sale&Pepe, sono acquistabili anche fuori dal kiosk di Abbonamenti.it, per esempio tramite il sito web di Abbonamenti.it: se vado in questa pagina posso acquistare 13 numeri di Sale&Pepe a € 27,00 (anzichè € 45,50), e sulla pagina leggo anche che “Per tutti gli abbonati alla versione cartacea, la VERSIONE DIGITALE è inclusa! Comodamente sfogliabile, in anteprima, su Pc e Tablet!”.

L'acquisto online di Sale&Pepe

La domanda è dunque la seguente: le 29.069 copie come sono calcolate? Sommando gli acquisti effettuati nell'”app-contenitore”, nell'”app-kiosk” proprietaria, e tramite il sito Abbonamenti.it, incluse quelle omaggiate? Non si rischia di perdersi qualcosa (o, peggio, di sovrapporre i numeri) mischiando tutti questi mezzi e le diverse forme e modalità di acquisto? Concludendo Se io vado da un inserzionista a chiedere soldi, e nel frattempo gli dico che la mia rivista, digitale o non, è acquistata/letta da meno di 3.000 persone al mese, penso di uscire dalla porta con uno sputo in un occhio. E’ quindi ovvio che si cerchi di “accomodare” questi numeri facendosi aiutare da abbinamenti più o meno alla luce del sole, usando la forza della carta (e del brand) per gonfiare cifre altrimenti inconsistenti. Questi dati mi continuano a far pensare che l’unica via percorribile, soprattutto da chi non ha alle spalle un corrispettivo cartaceo, sia quella del free: zero rogne a livello fatturazione, possibilità di fare in fretta numeri spendibili con gli inserzionisti, e nessuno che si può lamentare perché ha dato un paio di euro “al buio” per una rivista che non lo soddisfa appieno. Il dato di YouTech – 11.000 download a 5 giorni dal lancio e più di 1.000 giudizi in un paio d’anni di attività – sembra confermare la bontà di questa “via del gratis”: vedremo se altri editori la percorreranno in futuro.