Da quando Google ha lanciato il Panda, è iniziata la battaglia ai thin content – i contenuti “sottili”, inconsistenti – all’interno dei risultati del motore di ricerca. Google si è posto l’obiettivo di offrire una informazione di valore, di qualità, contrapposta a quella delle content farm e dei contenuti fatti solo per posizionarsi per determinate parole chiave. Il concetto di thin content potrebbe far pensare che a Google non piacciano gli articoli troppo brevi, e che favorirebbe quelli più lunghi in caso di due contenuti simili in competizione per la stessa posizione in SERP. In realtà, anche se Google potrebbe favorire il pezzo più lungo perché più approfondito, non significa che non considererà di valore gli articoli più brevi. In una discussione sul forum di Google, ripresa da Chris Crum su WebProNews, un webmaster ha posto la seguente domanda: “Contenuto corto = thin content?” Così gli ha replicato John Mueller: “Stai tranquillo, il Googlebot non si occupa solo di contare le parole di ogni pagina o di ogni articolo, e anche articoli brevi possono essere molto utili e interessanti per gli utenti. Per esempio, scansioniamo e indicizziamo i tweet, che sono lunghi al massimo 140 caratteri. Se ci sono utenti che amano il tuo sito e interagiscono con esso regolarmente, consentire loro di condividere un commento nei tuoi articoli è un ottimo modo per portare informazioni aggiuntive alla pagina. A volte un breve articolo può innescare una discussione più lunga – e a volte gli utenti cercano proprio questo genere di discussioni. Una raccomandazione che vorrei aggiungere è quella di assicurarsi che il contenuto sia davvero unico (e non riscritto, autogenerato, etc) e di alta qualità.” Lo scorso anno, Google ha pubblicato una serie di domande da porsi per valutare la qualità di una pagina/articolo. Una di questa era: “Questo articolo è scritto da un esperto o da un appassionato che conosce bene l’argomento, o è di natura superficiale?” Superficiale non è sinonimo di corto. Il fatto che Amit Singhal dica “da un esperto o da un appassionato che conosce bene l’argomento” significa semmai che Google punterà sempre di più sull’authorship come segnale di ranking, piuttosto che sulla lunghezza del contenuto. Ovviamente anche la lunghezza ha il suo bel peso: se un contenuto soddisfa meglio una ricerca ed è quindi più informativo, proprio per il fatto di essere più lungo, probabilmente si posizionerà meglio, indipendentemente dall’autore che lo ha prodotto. Fra le 23 domande del Panda una recita proprio: “L’articolo descrive entrambi i lati di una storia?”, cosa che fa presupporre che l’approfondimento – e quindi la lunghezza – abbia comunque un certo valore per Google. Ma torniamo al discorso dei commenti. Michael Gray, noto SEO e blogger su Graywolf’s SEO Blog, ha dichiarato che “aver tolto i commenti (diversi anni fa) è stata una delle migliori decisioni che ho preso, e mi dispiace non averlo fatto prima.” “Google considera cose come il tempo speso sul sito e il bounce rate?” si è chiesto Gray. “Secondo me sì, ma dovrebbe guardare a cose come la buona informazione e ai contenuti solidi, attendibili, utili, non ai commenti. Se sto cercando di imparare come strutturare un sito web, la data del contenuto non ha alcun valore, ma hanno valore la competenza dell’autore e la comprensibilità dell’informazione.” Su questo tema è molto interessante anche l’affermazione di Jeremy “Shoemoney” Schoemaker, il quale ha dichiarato che, secondo quanto riferitogli da un ingegnere di Google, i commenti diluiscono il quality score di una pagina, ed eventualmente anche la “densità complessiva” della parola chiave. E c’è anche la possibilità che i commenti spammosi possano essere un segnale di scarsa qualità agli occhi di Google (più di 3 anni fa avevo parlato proprio di una penalizzazione da commenti spammosi, anche se sterilizzati dal nofollow…). “Mi ha detto che non vede nulla di positivo nel lasciare i commenti indicizzabili sul mio sito”, ha affermato Shoemoney. E c’è persino qualcuno che da tempo ha tolto i commenti riuscendo in tal modo a prendere più link. Ma ora Mueller parla di valore dei commenti. Sembra che Google possa trattare i commenti allo stesso modo con cui tratta i contenuti presenti nella pagina. Se così fosse, i miei 3 consigli sono: • installare un sistema in grado di eliminare automaticamente i commenti spammosi (come Akismet) e flaggare senza pietà come spam quelli di pessima qualità, che il filtro non riesce ad individuare • evitare che i commenti finiscano per generare discussioni off-topic, che potrebbero confondere il motore di ricerca circa il tema principale della pagina • coltivare una community attiva, formata da commentatori in grado di arricchire la discussione (e di conseguenza il contenuto della pagina) Infine, se ti interessa approfondire il tema del rapporto fra commenti e SEO, ti consiglio quest’altro mio post. 😉