Link Baiting

L’attività di link baiting ha il duplice obiettivo di ottenere dei backlink a favore di una risorsa (URL) specifica e di incrementare la visibilità online della stessa (e del relativo brand). In altre parole, significa far compiere un’azione specifica (o una serie di azioni) ad un segmento di persone precedentemente individuate. Poiché le azioni che si possono compiere online sono molteplici (pubblicazione di un contenuto corredato da link, condivisione nei social network) ed anche la natura del link stesso può essere diversa (link testuale, link sotto forma di immagine, co-citazioni, co-occorrenze, menzione nei social network), risulta determinante conoscere approfonditamente il segmento di persone sulle quali si vuole agire per studiare una formula che:

  • sia in linea con le loro abitudini di utilizzo della rete;
  • sia comprensibile;
  • sia facile da attuare;
  • consideri gli ambienti (online) dove il segmento preferisce passare il grosso tempo.

Ne deriva, quindi, che la prima fase di ideazione di una campagna di link baiting passi per una profonda analisi e conoscenza del segmento di persone che si vogliono coinvolgere. Ciò può essere fatto mediante l’analisi di dati già a disposizione ma anche attivando degli strumenti atti a raccogliere altri dati, nuove informazioni, come ad esempio una survey online promossa tramite il sito web, la newsletter – se presente -, i profili social – con l’aiuto di un budget di advertising. A questa fase di conoscenza del segmento di persone da coinvolgere vanno aggiunte delle considerazioni che hanno a che fare maggiormente con le dinamiche SEO (poiché uno degli obiettivi ultimi è anche ottenere un incremento dei backlink):

  • àncore del link;
  • posizione del link rispetto al contenuto che verrà prodotto;
  • pianificazione temporale (nel limite del possibile) dei link da acquisire;
  • eventuale migrazione (redirect 301) verso un’altra risorsa qualora l’iniziativa dovesse avere una chiara connotazione temporale;
  • URL da coinvolgere. Considerando anche l’ipotesi, partendo dalla conoscenza del segmento di persone, che potrebbe essere più efficace ottenere visibilità tramite un sito web “ospite” per poi veicolare il “link juice” verso una risorsa proprietaria con dei backlink (v. esempio di Lexus e Buzzfeed).

L’approccio, semplificando, è quello di circoscrivere la libertà di azione dei creativi all’interno di un recinto definito con dei dati: “data driven creativity”. Lo step successivo, sarà quindi dare libero sfogo al team di persone creative. Il supporto (scientifico) che si può dare in questa fase è quello di elencare e descrivere i principali trend – quelli più attuali per il dato momento – che riscontrano un tasso di viralità maggiore, es. GIF animate, generatori automatici di frasi, … Nonché cercare se in passato, rispetto allo stesso insieme di persone, sono state svolte delle iniziative simili (di altri brand/competitor) che hanno particolarmente funzionato. Conclusa tale fase, si procederà poi alla pianificazione delle attività di promozione a supporto dell’iniziativa di link baiting. Questo è un passaggio importante e per nulla scontato (a livello di strategia): è incredibilmente raro riuscire a progettare una campagna che riesce a scatenare un abbondante passaparola senza il supporto di un po’ di pubblicità; anche il caso di Dove (qui il link al celebre video), come confermato da Google, ha riportato il dato per cui ogni 4 impression registrate, 3 erano state ottenute mediante dell’advertising a supporto. Qui l’approccio sarà, al contempo, qualitativo e quantitativo: andare alla ricerca di canali online, risorse, influencer che incontrino i gusti del segmento di persone target ma che abbiano anche una elevata capacità di raggiungere un notevole numero di persone. Decisivo sarà il coordinamento temporale di queste dinamiche per ottenere il massimo dell’esposizione in una finestra temporale relativamente ridotta affinché si possano, in teoria, concretizzare le condizioni per l’innesco della viralità. Lo scheletro delle attività è quindi:

  • analisi del target;
  • condivisione delle dinamiche tipiche della SEO per questi frangenti;
  • progettare e sviluppare l’oggetto al centro dell’iniziativa;
  • pianificazione delle attività di promozione a supporto dell’iniziativa;
  • coordinare – temporalmente parlando – tutti i canali, le risorse e gli influencer coinvolti;
  • realizzare un report che descrive, nel dettaglio, l’efficacia della stessa (impression, visite, conversioni, social KPI).

Vediamo di seguito due esempi. Naturalmente non ho conferma del fatto che l’approccio sopra descritto sia stato effettivamente applicato; diciamo che il tutto si è svolto in maniera tanto fluida da farmi pensare che poco fosse stato lasciato al caso e molto, invece, definito a tavolino.

Il caso Mailbox

(client di posta elettronica – acquistato da Dropbox e la cui cessazione è stata programmata per il 26 febbraio 2016)

Mailbox

All’epoca, era il 29 novembre 2012, Mailbox si presentava – tramite il video qui sotto – come un client di posta elettronica per smartphone rivoluzionario.

Compito arduo: sostituire delle soluzioni installate di default all’interno di un sistema operativo già pronto non è per nulla banale (la storia di Internet Explorer, al netto delle questioni legali, la conosciamo tutti). Bisogna lavorare incredibilmente bene sulle funzionalità, il design, l’esperienza utente e bisogna progettare di fare un bel po’ di baccano attorno all’iniziativa. Proviamo a risalire la corrente di quelli che potrebbero essere stati i ragionamenti del team di Mailbox. Di seguito:

  • quali potrebbero essere quegli utenti più propensi a sostituire client di posta nel proprio smartphone? Innanzitutto chi è in grado di farlo, chi ne ha le capacità, chi ha piacere di provare nuove soluzioni, chi ha le conoscenze per “personalizzare” il proprio smartphone aggiungendo (e sostituendo) le applicazioni già presenti;
  • chi sono quindi queste persone? Probabilmente persone che passano parecchio tempo sullo smartphone, che hanno confidenza con lo strumento; è più il geek, più lo smanettone che il business man. Probabilmente è più la “fetta” dai 35-40 anni in giù;
  • e dove li trovo questi smanettoni? Su Facebook, Twitter e gli altri social network “di tendenza” (anche se in numero minore);
  • immaginando il tempo che passano sullo smartphone e sulle loro app preferite, quali azioni richiedono loro un impegno praticamente pari a zero? Sicuramente una ricondivisione nei social network; tanto, da qualche parte, un account ce l’hanno tutti;
  • altre caratteristiche di questo segmento di persone che, magari, non emergono dal principio? Probabilmente alcuni di loro sono early adopter quindi fanno a gara per provare le cose prima degli altri e, mediante questo, distinguersi.

Tutte queste risposte messe insieme hanno prodotto (rispetto a quello che sono riuscito a ripescare):

  • un account su Twitter con quasi 66.000 follower;
  • una pagina su Facebook con quasi 20.000 fan;
  • un account su Instagram;
  • un account su Tumblr;
  • un video – quello originale postato su Vimeo – che ha ottenuto quasi 9 milioni di visualizzazioni. Tra l’altro mi piace sottolineare anche com’è stato pensato il video in relazione al target: i contenuti che si intravedono sono:
    • mail di conferma circa degli acquisti online
    • proposta di incontro tra amici
    • conferma della prenotazione di una cena
    • idee per il regalo di compleanno della sorella
    • (ah!) una riunione di lavoro
    • un happy hour

    Inoltre l’ambientazione è quella di uno spazio aperto, nella natura, benché il client di posta sia anche uno strumento di lavoro;

  • un’iniziativa virale rispetto alla coda che c’era per l’attivazione dell’app. Questo è il punto centrale, secondo il mio parere: hanno toccato una leva molto sensibile per gli early adopter (dichiarando quante persone c’era prima di me in coda ma anche quante ce n’erano dopo) lasciando l’opzione di passare davanti a qualcuno in cambio di un’azione, per questa natura di utenti, incredibilmente semplice: pubblicare un messaggio preconfezionato (tra l’altro approccio utile per poi monitorare meglio la conversazione) su Twitter e Facebook. Così hanno generato un bel baccano.

Tutto il baccano che sono riusciti a generare ha sicuramente raccolto l’attenzione delle testate editoriali principali (potrebbe anche essere che alcuni redattori siano finiti nel segmento degli utenti interessanti). Però, altrettanto sicuramente, le attività di digital PR non sono state lasciate al caso: l’app è stata ufficialmente lanciata il 7 febbraio 2013 ed essere pubblicati a dicembre 2012 da testate quali TechCrunch, The Verge e Cult of Mac non è stata solo una questione di fortuna. Infine, per tornare al concetto principale – e perché il traffico da Google per parole chiave quali “email app iphone” non penso faccia schifo – diamo un’occhiata al profilo di backlink del dominio “http://www.mailboxapp.com” (tramite Majestic).

Analisi del profilo di backlink effettuata con Majestic

Il caso Dove con il video “Schizzi di vera bellezza”

Il secondo caso, molto probabilmente, è ancora più famoso.

Si tratta di uno dei video più visti di sempre ed in questo mio contributo faccio emergere solamente gli aspetti, dal mio punto di vista, più significativi facendo riferimento a questa ottima analisi (che mi limito quindi a linkare: “How Dove’s ‘Real Beauty Sketches’ Became The Most Viral Video Ad Of All Time”). Di seguito:

  • si è partiti da un dato statistico in riferimento alle persone verso le quali, per la maggiore, si rivolge Dove: […]Over half (54%) of women globally agree that when it comes to how they look, they are their own worst beauty critic, which equates to a staggering 672 million women around the world[…]
  • un video, che tocca leve emozionali, si presta incredibilmente bene alla ricondivisione (nei social);
  • poiché la campagna è stata internazionale, il video è stato caricato su YouTube in 25 lingue (quante volte oggi, per rispondere all’esigenza dell’internazionale, ci limitiamo all’inglese “che tanto lo parliamo tutti”?)
  • hanno discusso, perché loro se lo possono permettere, direttamente con Youtube;
  • hanno pianificato del media su testate quali Today Show, Mashable, Huffington Post.

Poi, naturalmente, l’oggetto al centro della strategia (la storia, l’iniziativa ed il video che la racconta) ha avuto un ruolo determinante nel successo della campagna. Che ne pensate di un approccio di questo tipo? La mia deformazione da non-creativo ha concesso molto meno spazio al foglio bianco, però conosco chi sarebbe contro questa “gabbia data-driven”. Qual è la vostra opinione al riguardo? Autore: Marco Ziero, consulente di web marketing per MOCA Interactive, per il TagliaBlog.