Lo spunto per questo post viene da una ricerca della Columbia University sul cosiddetto Google Effect, ovvero sul fatto che si utilizza sempre più il motore di ricerca di Mountain View come sostituto della propria memoria. Pare ci siano delle conseguenze cognitive nell’avere tutte le informazioni possibili e immaginabili a “portata di Internet”, ma non è questo l’oggetto del mio articolo. Semmai voglio parlare del fatto che ci sono enormi aree delle Rete dove enormi quantativi di informazioni, personali e non, non sono affatto a portata di mano. O dove possono sparire da un momento all’altro. Lo so che per molti sembrerà un discorso da vecchio nostalgico della prima era di Internet, quel periodo fatto di modem fischianti e di contenuti quasi esclusivamente testuali, ma oggi mi viene da tirar fuori dal cassetto il famoso motto mussuliniano del “si stava meglio quando si stava peggio”. Parto da lontano, dai newsgroup: quante informazioni e quanti approfondimenti si trovavano nei “gruppi di discussione”! Poi arrivò Deja News, che rese disponibili tutte queste discussioni tramite browser, quindi Google si comprò Deja News e gli mise il nome Google Groups: tutto questo sapere, milioni e milioni di discussioni su tutti i temi e in tutte le lingue, sono ora fruibili e ricercabili in pochi istanti. Prova a scavare fra questi messaggi degli anni ’80 e ’90, e se hai più o meno la mia età proverai di certo qualche emozione. Le stesse emozioni che provo quando mi capita di frugare in Archive.org, una sorta di immenso backup della Rete che fu, un sito che salva, “fotocopiandoli”, contenuti altrimenti destinati all’oblio. Diciamo che più o meno fino all'”era dei Forum” – era che a mio parere si è conclusa, fatta eccezione per i pochi forum storici nati diversi anni fa e che tirano avanti ancora per inerzia – le discussioni sul web attorno a certi temi erano riconducibili a determinati indirizzi, ben noti e identificabili. Questi forum avevano (e hanno) spesso un loro motore di ricerca interno, o vengono comunque indicizzati da Google & Co., e quindi i loro contenuti sono in buona sostanza aperti, ricercabili, fruibili. Questo pezzo di Internet, quello dei newsgroup, dei forum ma anche quello dei siti web e dei blog è però solo una parte – per molti vecchia e “decadente” – della Rete. Da pochi anni esiste un enorme giardino recintato, con dentro 750 milioni di persone, che è (quasi completamente) impermeabile a Google. Intendo dire che quello che si pubblica in Facebook non può essere facilmente cercato e ritrovato con Google, ma l’assurdo è che non può nemmeno essere facilmente cercato e ritrovato con il motore di ricerca interno di Facebook. Ammetto che la ricerca nei Gruppi di Facebook ha fatto passi da gigante, ma siamo ben lontani da quella integrata nei tantissimi forum sparsi sul web. E se qualcuno dei tuoi contatti dice qualcosa di interessante nello stream? e magari dopo 1 mese voglio andarla a ritrovare? I social dimenticano, o comunque non permettono una buona organizzazione dei nostri pensieri. Il fatto che su Facebook basti battere “invio” per mandare un messaggio la dice lunga sul come venga visto più come uno strumento vicino ad una chat che ad un forum/newsgroup (dove le discussioni sono ben divise per aree, dove per aprirne una devi scegliere un buon titolo e scrivere solitamente qualcosa di sensato, etc.). Io voglio poter consegnare una “scatola dei ricordi” ai posteri, magari virtuale, ma simile a quelle di cartone che i genitori preparavano per i figli tanti anni fa. E allora tengo questo blog, ne faccio il backup, e rinnovo il dominio e l’hosting per un bel po’ di anni. Perché non voglio che tutta la mia vita virtuale sia dentro uno o più account che possono essere cancellati senza alcun preavviso, account che oggi utilizzi assiduamente solo perché di moda o perché tutti i tuoi amici sono lì, ma domani possono inabissarsi e sparire con tutti i tuoi dati, i tuoi pensieri, i tuoi ricordi.