Gianluca Diegoli

 

Di Gianluca Diegoli non posso che consigliare la lettura (quotidiana) del suo [mini]marketing, e delle sue “91 discutibili tesi per un marketing diverso” (ebook che dovrebbe stare nel reader di ogni buon (web) marketer che si rispetti).

A Gianluca ho proposto le stesse identiche domande fatte alcuni giorni fa ad Andrea Febbraio e a Vincenzo Cosenza, ottenendo delle risposte davvero interessanti (e spesso sintonizzate col mio modo di vedere e intendere questo mondo). Eccole qui:

1. Il banner è stata la prima forma di pubblicità online. Ora è morto? o morirà ucciso da altre forme di advertising?

Il banner non muore semplicemente perché ci sono persone (che incidentalmente controllano i budget di marketing) che credono in lui oltre ogni dimostrazione empirica e oltre ogni calcolo del ritorno effettivo, che “vogliono crederci”, per “ritrovare” sui mezzi digitali quella “semplicità” che caratterizzava i mezzi analogici (occhi, parte del campo visivo, cose così). Il discorso “se io lo vedo, lo vedranno anche gli altri” è tuttora diffusissimo, la stessa concezione della Rete “aziendal-egocentrica” che inizia e finisce nel territorio degli owned e bought media è ben lontana dall’essere sconfitta.
Non so ovviamente quale sia il futuro o il prossimo strumento di advertising online, ma credo che qualsiasi oggetto unidirezionale che cerchi di “colpire”, “intromettersi” e che non sia strettamente correlato con quanto l’utente sta facendo, cercando o desiderando, e non crei vera utilità alla rete nel suo complesso, sia prima o poi destinato a morire. E che il passaparola genuino sarà sempre più influente e importante rispetto alla voce pubblicitaria e stereotipata delle aziende in rete.

2. Facebook, per alcune agenzie, sta diventando una grossa opportunità, una terra di conquista dove si crea un certo tipo di comunicazione pubblicitaria. Ma lo spostarsi degli investimenti adv nei social, non rischia di “togliere aria” agli editori?

Dovremmo preoccuparcene? 🙂 Le news stanno diventando un mercato perfetto, sempre più concorrenziale. I giornali hanno un grande problema, la loro struttura “produttiva” pesante, ereditata da altri tempi, e la pubblicità online non li salverebbe comunque, Facebook o no.
Poi per dire, io non sono di quelli che dicono che la pubblicità su Facebook abbia tutta questa potenzialità, almeno con modalità tradizionali. Semplicemente sono i luoghi dove ora le persone trascorrono più tempo, e quindi come avviene in tutta la storia dell’umanità, qualcuno ci piazzerà un cartello pubblicitario, che poi questo funzioni o meno, è un altro discorso.

3. Definisci il Buzz. E soprattutto il suo rapporto con l’etica.

Il buzz è qualcosa che chi non riesce a far parlare di sé spontaneamente, usa come palliativo, di solito con scarsi risultati.
Il suo rapporto con l’etica: non sono preoccupato dell’irruzione del Buzz in rete, anzi, sono più che tranquillo, il mercato della trasparenza, della reputazione, della fiducia automaticamente ricrea l’equilibrio “infranto” o sbilanciato dal buzz artificiale. In concreto, posso anche bombardare di post a pagamento tutta la rete, ma la credibilità di queste operazione scenderà esattamente fino al punto che mescolata per la numerosità, la renderà comunque innocua, al massimo una leggera acne sulla faccia della rete.

Dal punto di vista di chi partecipa al buzz, è una scelta personale che non abbiamo il diritto di contestare, secondo me. I post più o meno sponsorizzati sono pubblicità creata dagli utenti, ma pur sempre pubblicità. E si vede – e si deve chiarire come tale.

Credo che nella maggioranza delle operazioni, siano campagne svolte più in una funzione interna, che con reali aspettative di cambiare le sorti dell’azienda: si fanno per dire agli internal meeting che “così la nostra comunicazione è moderna, 2.0, crossmediale, ecc. ecc.”. Quello che manca, per renderle vere, è che non sottendono mai o quasi una vera apertura dell’azienda all’esterno, o una reale volontà di ascolto del mercato, e in estrema sintesi, manca la considerazione di queste persone come singoli, e non come numeri di occhi e di bocche e di profili di Facebook, dello stesso tipo di quelli dell’advertising.

4. A proposito di etica: come giudichi certe operazioni di infiltration nei blog/forum? esiste un modo “corretto” di fare infiltration?

Esiste il modo corretto, è quello che non si chiama infiltration. Si chiama partecipazione, aiuto, collaborazione con gli altri utenti del forum, anche con account aziendali.
I finti utenti che “casualmente” sponsorizzano qualche campagna hanno una reputazione bassa, che in realtà non sposta nulla. Servono per essere stampati, messi sulla scrivania del direttore marketing per dire “ehi, abbiamo fatto questa campagna nei forum, ci è costato meno dei banner”. Fino al giorno in cui ti scoprono, perché qualcuno ti scopre, se hai fatto davvero buzz. Se non ti scoprono, probabilmente è perché sei passato quasi inosservato.

5. Secondo Seth Godin, un “influencer” che divulga un messaggio dietro pagamento, perde progressivamente potenza ad ogni “starnuto” che fa. Sei d’accordo? qual’è il vostro rapporto con i “Powerful Sneezers”? ne esistono in Italia?

Potenza, quale potenza? E’ la stessa potenza della pubblicità, non si scappa. Lo starnuto a pagamento è pubblicità. Segue quelle logiche.
Se per powerful sneezers intendi persone con enorme reputazione, eccome che ci sono, nei forum, almeno per il settore motociclistico. Un commento o una stroncatura di uno di questi vale almeno quanto un articolo tanto foraggiato e coccolato sulla stampa di settore (ma non ditelo agli uffici stampa, ci rimangono male, di solito).

6. Parliamo di metriche: come è possibile misurare i risultati di una campagna sui social media? che tipo di report mostrate ai clienti?

Contesto il concetto di campagna (era anche nelle 91 tesi: il concetto di campagna va preso nel senso del contadino, non in quello militare). Monitoriamo, partecipiamo, nutriamo, coccoliamo in modo continuativo, senza grandi budget, cercando di mostrare attenzione e facendo filtrare la voce della community all’interno dell’azienda.
Metriche, in questo momento mostro prevalentemente risultati a clienti “interni”: ci sono report quantitativi (numero fan, indice di engagement — partecipazione su numero di partecipanti — analytics più o meno tradizionali, indici tesi a dimostrare il valore “naturale” dei fan a quello “artificiale” del direct marketing o della pubblicità, che viene acquistato e quindi è monetizzato, anche nella mente del management), e qualitativi (indice di quanto sono favorevoli i commenti o i tweet anche paragonati a quelli dei competitor diretti).
Ma per fortuna, non c`è una caccia serrata al numero: io credo che spesso dei powerful sneezer si nascondano anche in persone che hanno magari 20 amici su Twitter, mentre sia abbastanza inutile far starnutire i soliti noti.

7. Chiudiamo con le previsioni: come vedi il futuro dell’advertising e del web marketing “non convenzionale”? quali saranno i trend?

Dopo la fase della sorpresa del non convenzionale (termine che odio con tutto il cuore, soprattutto ora che le campagne non convenzionali sono convenzionalissime), credo che stiamo per entrare nella fase dell’utilità e della rilevanza. Non vedo la grande rivoluzione alle porte: semplicemente, ogni cosa che potrà essere rimossa dalle pagine web perché fastidiosa, inutile o dispersiva, lo sarà: questo è il primo comandamento da tenere in mente per capire quale è il giusto cammino. (oh, sia chiaro, si naviga comunque a vista, ora e per sempre).