Pochi giorni fa Reid Hoffman, Co-founder e Chairman di LinkedIn, ha mandato 2 email diverse indirizzate ai primi utenti iscritti al popolare social network. La prima era un ringraziamento ai primi 100.000 “innovatori”: “I want to personally thank you because you were one of LinkedIn’s first 100,000 members. In any technology adoption lifecycle, there are the innovators, those who help lead the way. That was you.” E la seconda ringraziava invece il primo milione di “pionieri”: “I want to personally thank you because you were one of LinkedIn’s first million members. In any technology adoption lifecycle, there are the early adopters, those who help lead the way. That was you.” Le email in questione mi hanno riportato alla memoria la teoria della Diffusione dell’Innovazione, che nasce da un concetto di fine ‘800 poi perfezionato e pubblicato in un libro da Everett Rogers, nel lontano 1962. In pratica Rogers teorizzò che i primissimi a buttarsi a capofitto nelle novità sono gli innovator (=innovatori), seguiti dagli early adopter; successivamente arrivano i Majority (=la massa) (divisi fra early e late) e infine i laggard (=i ritardatari). La teoria della Diffusione dell’Innovazione venne ulteriormente “perfezionata” parecchi anni dopo da Geoffrey A. Moore, che nel libro Crossing the Chasm (del 1991) evidenzia come ci sia una sorta di “baratro” fra innovatori/early adopter e la massa dei consumatori: conquistare i primi è quindi basilare, perché sono quelli in grado di evangelizzare la massa e quindi diffondere come un virus (Seth Godin direbbe “starnutire”) i nuovi prodotti/servizi presentati sul mercato.

Crossing The Chasm

Proprio come indicato nelle email di Hoffman, innovator ed early adopter sono quelli che “aprono la strada” e sono quindi basilari nel percorso che porta le nuove tecnologie ad ottenere successo, permettendo alle novità di balzare oltre il “chasm” e di finire adottate dal grande pubblico. Questa lunga premessa è solo per affermare che chi, come la maggior parte dei lettori di questo blog, utilizza Internet per lavoro, deve necessariamente trovarsi alla sinistra del baratro 🙂 Personalmente dedico parecchio tempo ad informarmi e quindi a testare e a (cercare di) capire ogni tipo di novità nel settore nel quale opero. Giusto per fare 3 esempi: • odio il telefono, sia fisso che mobile, ma mi sono “obbligato” a prendere uno smartphone più di 3 anni fa. Perché? perché vari indicatori dicono che Internet si trasferirà in fretta – e in modo massiccio – su device mobili, e quindi è necessario studiare e approfondire il trend. Che ci piaccia o no. • mi iscrivo (quasi) ad ogni social network. Compilo il profilo con i miei dati e periodicamente torno a vedere se quel servizio è vivo o morto, come è evoluto e che direzione ha preso nel tempo. Al 99% son fuochi di paglia, ma ogni tanto qualcosa di davvero geniale si trova. • nelle app si gioca un grande business, e un nuovo modo di fruire la Rete. Le app vanno scaricate, provate, “capite”: in Foursquare/Gowalla c’è l’intuizione della geolocalizzazione, in Flipboard (e quindi in Pulse e Zite) una fruizione dei contenuti che mixa feed reader a social, Color va scaricata e provata per capire come sia possibile che un’app così insulsa abbia preso finanziamenti per 41 milioni di dollari 🙂 Ma se non le provi con mano, non puoi giudicarle. Come spesso dico, uno dei pochi vantaggi nell’essere italiani e lavorare sul web è quello che le cose arrivano da noi qualche mese/anno dopo rispetto ad altre aree del mondo più evoluto. Se studi costantemente i trend, se leggi quotidianamente quello che avviene oltreoceano, se investi tempo (a volte anche denaro…) a provare nuove cose (dispositivi, servizi, applicazioni), riuscirai facilmente ad avere davanti un quadro di quello che ci aspetta fra qualche stagione. E se sei abbastanza bravo/furbo da prendere qualche idea e adattarla al nostro mercato, magari riesci pure a fare il botto 😉