Living Stories è il tipico servizio dei Lab di Google che, nonostante sia stato annunciato (2 giorni fa) sul blog ufficiale in inglese (e poche ore fa su quello italiano), non ha ricevuto dalla Rete l’interesse che invece merita. Credo infatti che Google Living Stories possa essere una vera e propria rivoluzione per alcuni grossi siti con buoni contenuti editoriali, perchè include 3 elementi molto forti: prima di analizzarli, però, cerchiamo di capire qualcosa di più su questo nuovo servizio… Cos’è Google Living Stories? E’ un nuovo sistema per fruire dei contenuti (per ora solo quelli del New York Times e del Washington Post, ma non è detto che in futuro compaiano altre prestigiose testate). Si basa su queste 3 logiche: Tutto in un solo posto: la copertura completa di un determinato argomento è offerta “in continuo”, raggruppata insieme sotto ad un unico URL. Puoi navigare facilmente fra gli articoli, le opinioni e le varie funzionalità, senza aspettare i lunghi caricamenti delle pagine. Facile da esplorare: per ogni argomento è presente un riassunto degli sviluppi attuali e anche una timeline interattiva per gli eventi cruciali. Gli argomenti possono essere esplorati in basi ai temi, ai protagonisti più significativi o agli elementi multimediali. “Intelligente” da leggere: gli aggiornamenti relativi all’argomento sono evidenziati ogni volta che ritorni, e le vecchie notizie vengono riassunte. Ma torniamo ai 3 “elementi forti”, di cui parlavo sopra: 1. E’ a metà fra il newsmastering e l’articolo aggiornato in continuo: come dice il nome stesso, Living Stories è una “storia viva”. E’ un contenitore che ingloba tutti gli articoli su di un determinato argomento, del quale puoi ricevere gli aggiornamenti via email o feed. Di quell’argomento puoi leggere tutto, o solo alcuni contenuti (immagini, video, grafici, commenti). E anche scorrere i contenuti su un “nastro temporale”. 2. L’utente non esce da Google: i contenuti provengono da due illutri siti (New York Times e Washington Post), ma su quei siti non ci finisci, mai. Puoi navigare in lungo e in largo un argomento, cliccare ovunque, ma ti sposterai sempre su ancore interne alla pagina. Tutto il traffico generato, tutti i minuti spesi, sono effettuati all’interno di Google. 3. Non include pubblicità: ci sono solo contenuti “puri”. OK, è un “esperimento”, ma qui vengono estratti gli articoli dai due siti, inseriti in un nuovo contenitore, e non c’è traccia di un banner, nè di quelli “nativi” dei due siti, nè di AdSense. Concludendo: non credo che il New York Times e il Washington Post regalino contenuti a Google, soprattutto in questa forma (dove il contenuto è estratto dal contenitore, riorganizzato in una forma “enciclopedica” e privato anche della pubblicità). Credo invece che Google stia pagando per questi contenuti, o comunque stia studiando un modo per fornire contenuti di qualità, aumentare la permanenza dell’utente sul suo dominio e monetizzare, in qualche forma, l’editore. Chissà che non si debba “ringraziare” Murdoch anche di questo 🙂