Google Analytics, come tutti i software, è un sistema che prende dei dati in ingresso, fa alcune cose e presenta dei dati in uscita. In tutto questo processo è naturale che l’uomo possa operare alcune scelte che si riflettono direttamente sui dati in ingresso o in uscita, tanto più quando si parla, appunto, di un sistema di web analytics. Ma come dice il detto “il più grande problema dei computer è tra la sedia e la tastiera”, per cui cercheremo di analizzare cinque errori comuni che si possono evitare operando con il sistema fornito da Google:

1. Non incollare il codice su tutte le pagine

Sembra strano, ma i problemi più strani e apparentemente inspiegabili dipendono proprio dalla mancanza del codice di monitoraggio sulle pagine. In siti molto grandi, con content Management System complessi o in cui le pubblicazioni sono gestire da più persone, o peggio dove ci sono diverse persone che hanno accesso ai sorgenti dei file o al server, può accadere che per distrazione qualcuno cancelli il codice di Analytics da un template, e che la cosa si ripercuota su intere sezioni del sito o innumerevoli pagine. Google Analytics non vi segnalerà mai che una pagina che prima veniva tracciata ora non lo è più, e voi potreste metterci un po’ di tempo prima di capire che quel calo del 7% delle visite è dovuto alla mancanza del codice e non a qualche altra ragione. Periodicamente può essere una buona idea fare un giro dei template e controllare i sorgenti delle pagine, oppure usare un tool gratuito come SiteScanga.com che sebbene limitato a 1000 files può essere usato indicando in due scan successivi due differenti directory del proprio sito.

2. Farsi prendere dalla sindrome del “lo faccio dopo”

Avete fatto quattro click e siete arrivati ad ottenere il codice di monitoraggio da inserire nelle pagine. Avete persino un plugin nel vostro CMS che vi evita di dover armeggiare con FTP e template, incollate il codice e avete finito. Alla configurazione ci penserete dopo. Errore, perché i dati iniziano subito ad arrivare a Google, nel preciso istante in cui il primo visitatore carica una pagina contenente il javascript di Analytics. Conviene fare subito la configurazione del nuovo profilo: inserimento della pagina predefinita (per evitare che le visite a miosito.it/ e miosito.it/index.htm siano conteggiate separatamente), scelta del fuso orario (se viene cambiato successivamente infatti si possono generare dei “buchi” nei report), esclusione dei parametri inutili dagli URL registrati da GA, inserimento dei dati necessari affinché Google Analytics tracci correttamente le ricerche interne al sito.

3. Mischiare vecchio codice e nuovo codice

Quando Google ha deciso di adottare un nuovo codice di monitoraggio completamente basato sulla programmazione a oggetti, passando da urchin.js a ga.js, ha mantenuto la possibilità di visualizzare e inserire nelle pagine il codice “vecchio”, per retrocompatibilità. E’ una scelta saggia dal punto di vista degli utenti, ma è anche una scelta che genera confusione. Per praticità, dimenticatevi che esiste un codice vecchio e uno nuovo e fate finta che esista solo ga.js. E’ l’unica versione che viene attivamente supportata, e tutte le nuove feature che vengono introdotte funzionano solo se si usa questo codice. E’ tecnicamente possibile avere codici diversi su pagine diverse all’interno dello stesso sito, ma perché complicarsi la vita? In pratica, se avete il codice vecchio e non aggiungete pagine nuove, potete stare così ancora per qualche tempo. Se avete il codice vecchio ma aggiungete pagine o template, dovete fare attenzione a cosa incollate (anche perché la scelta dei nomi è piuttosto infelice: “codice di monitoraggio legacy” ha un’assonanza rassicurante in italiano, sa di legalità, invece si riferisce al codice vecchio), oppure vi conviene migrare tutto il sito al nuovo codice. Se state creando un nuovo profilo, non esiste altro che il nuovo codice.

4. Non avere nemmeno un profilo di test

Più diventerete bravi a maneggiare filtri ed espressioni regolari, più vi verrà voglia di sperimentare. E’ vero che con la segmentazione avanzata molte cose si possono fare “al volo”, ma la differenza con i filtri è che la “pulizia” viene effettuata a monte con i filtri, mentre non viene effettuata con la segmentazione; e comunque non si può fare proprio tutto tramite i segmenti avanzati. Per cui è necessario avere un profilo-copia di test ove fare le prove dei filtri prima di metterli in produzione. Per attivarlo basta creare un nuovo profilo e invece di selezionare “Aggiungi un profilo per un nuovo dominio” bisogna cliccare “Aggiungi un profilo per un dominio esistente” e selezionare il profilo da clonare. Le modifiche apportate a questo profilo-copia – che condivide il codice di tracciamento con il profilo originale – hanno effetto solo in questa specie di “zona franca” e non intaccano i dati del profilo originario, per cui si possono fare esperimenti senza remore.

5. Creare segmenti o custom report troppo complessi

Le nuove funzioni di segmentazione avanzata e rapporti personalizzati sono molto belle e potenti, e permettono di fare cose interessanti in maniera abbastanza semplice, con il drag and drop. Proprio questa relativa semplicità nella creazione è anche un ostacolo alla comprensione approfondita delle reali esigenze di chi il report lo deve usare (anche nel caso sia la stessa persona che lo crea). Difficilmente sarà davvero necessario un custom report con cinque dimensioni a cascata e otto parametri, così come un segmento personalizzato fatto di quattro o cinque dimensioni concatenate con “oppure”. Mai come in questo campo “less is more”: Google ha dato a tutti la possibilità di fare analisi di alto livello, e col tempo sono certo che tutti ci arriveranno, ma è necessario affrontare il percorso con gradualità e cognizione di causa, altrimenti si rischia solo di aggiungere confusione alla confusione, e non si avranno le risposte che si cercano ma solo le idee maggiormente confuse. Iniziamo ad impostare un rapporto personalizzato con due dimensioni a cascata o un segmento con un solo parametro, e concentriamoci sull’affinare le condizioni che li generano, concentriamoci sulla domanda cui bisogna dare risposta più che sul modo cui arrivarci. I risultati arriveranno col tempo. Autore: Tambu (di Google Analytics in 30 secondi) per il TagliaBlog.