La parola “Native Advertising” è ormai sulla bocca di tutti gli editori online, che vedono in questa nuova (nuova si fa per dire… alla fine si parla dei cari e vecchi pubbliredazionali…) forma di pubblicità una fonte di revenue alternativa e complementare ai banner, ormai bolliti. Ma Google teme, giustamente, che insieme ai pubbliredazionali torni di gran moda la compra-vendita di link (che passano PageRank) all’interno dei contenuti, e quindi ha iniziato ad allertare (e penalizzare) chi fa uso massiccio di advertorial per scalare le SERP del motore di ricerca: lo ha fatto a Febbraio, penalizzando Interflora, e lo ha ribadito nuovamente lo scorso mese, per bocca di Matt Cutts, all’interno di un video nel quale vengono elencati i 10 “provvedimenti” che Google prenderà entro l’estate lato SEO. Il primo punto dell’elenco riguardava il Penguin 2.0, attivato il 22 Maggio, ed ora pare sia la volta del secondo punto della lista, almeno stando a questo ennesimo video di Cutts. nel mirino, ci sono advertorial, native advertising e contenuti editoriali. Provo a tradurre le parole di Cutts: “Editorial content: se sei un blogger sono i post che scrivi, se sei un giornale online sono le notizie che pubblichi. Credo che le persone abbiamo un concetto molto chiaro di cosa sia un contenuto editoriale. Advertorial content o native advertising: è pubblicità, ma spesso è una tipologia di pubblicità che sembra più vicino all’editoriale. In pratica, significa che qualcuno ti ha dato dei soldi per produrre il contenuto, invece che scriverlo naturalmente perché era di tuo interesse o perché volevi davvero farlo. Perché la cosa ci importa? Perché abbiamo fatto un video su questo tema? Beh, il motivo è che all’interno del “webspam team” ci siamo accorti che advertorial, contenuti di native advertising o contenuti pagati non vengono dichiarati adeguatamente; la gente non si rende conto di cosa è pagato e cosa non lo è. Il problema è questo, lo ripetiamo almeno dal 2005: se i link sono a pagamento, non devono passare PageRank, e la ragione è che i link che passano PageRank sono considerati dei “voti editoriali”, e non devono essere basati sui soldi. Se c’è un pagamento, deve essere dichiarato. Quindi, quali sono le linee guida per advertorial e native advertising? Possiamo dividerle in 2. Da un lato, c’è il motore di ricerca. Se i link [nei tuoi contenuti] sono a pagamento, se c’è un passaggio di denaro nei link che metti sul tuo sito web, devi fare in modo che non passino PageRank. In buona sostanza, che non influiscano sul posizionamento nei motori di ricerca, per esempio utilizzando l’attributo nofollow. Allo stesso modo, è necessario essere chiari con i lettori. Una buona regola è quella di inserire una dichiarazione chiara e ben visibile, non scritta in piccolo o difficile da trovare sulla pagina. Una cosa che faccia capire che il contenuto che si sta leggendo è stato effettivamente pagato, per esempio scrivendo “Advertisement” (=Pubblicità) o “Sponsored” (=Contenuto Sponsorizzato). Ciò di cui stiamo parlando non è un cambiamento nelle nostre policy e nelle nostre linee guida, perlomeno dal punto di vista dello “webspam team”. Il motivo [del video] è che abbiamo visto alcuni webmaster che non si stanno muovendo correttamente. Per esempio, nel Regno Unito alcuni siti hanno preso soldi per scrivere articoli, con all’interno anchor text ricchi di parole chiave e che passavano PageRank, e da nessuna parte hanno scritto che gli articoli erano stati pagati. E questo è il genere di cose che può frustrare e far arrabbiare un lettore che scopre che un articolo del genere è stato pagato. Abbiamo preso atto di questo genere di cose per anni e anni, e abbiamo intenzione di prendere forti provvedimenti. Pensiamo sia importante essere in grado di capire se qualcosa è pagato o meno sul web, e non solo come “webspam team”, o solo riguardo alla search. Il team di Google News ha recentemente scritto sul suo blog che se non si dichiarano adeguatamente i contenuti a pagamento, che si tratti di native advertising o advertorial, quando c’è di mezzo un passaggio di soldi, e se gli utenti non ne sono sufficientemente informati, il team di Google News potrebbe non solo rimuovere i contenuti pagati, ma anche rimuovere l’intero sito da Google News. Credo quindi che se si guarda a Google e alle sue policy sui pubbliredazionali, queste sono rimaste costanti nel corso degli anni, e stiamo solo ribadendo che i webmaster devono rendersi conto che se si prendono dei soldi per pubblicare un contenuto, e i lettori non capiscono se il contenuto è pagato perché non dichiarato adeguatamente, Google prenderà provvedimenti. Non solo nei risultati del motore di ricerca, non solo come “webspam team”, ma anche in Google News.” Se sei sopravvissuto al Penguin 2.0, preparati ora a questa nuova mazzata 🙂 Aggiornamento: l’11 Marzo 2016 è stato pubblicato sul Google Webmaster Central Blog un post dal titolo Best practices for bloggers reviewing free products they receive from companies, che ribadisce in buona sostanza quanto detto da Matt Cutts 3 anni prima. Se sei un blogger e ricevi gratuitamente da un’azienda un prodotto da recensire, devi:

  1. Usare il tag nofollow: i link che metti nella recensione verso il sito dell’azienda o il prodotto non devono passare PageRank.
  2. Dichiarare la cosa: gli utenti devo sapere che il contenuto è sponsorizzato.
  3. Creare contenuti che siano unici e “compelling” (interessanti, avvincenti, coinvolgenti): in poche parole, il pezzo non deve essere una mera “marchetta”.