“Facebook, Myspace e molti altri social hanno inviato ad aziende pubblicitarie dati riservati dei loro utenti, che potrebbero essere utilizzati per risalire al nome del consumatore e ad altri dettagli personali, nonostante la promessa* che non avrebbero mai divulgato tali informazioni senza consenso.” (*La “promessa” di Elliot Schrage, VP di Facebook per ciò che concerne la “Communications and Public Policy”, era infatti questa: “We don’t share your information with advertisers. Our targeting is anonymous. We don’t identify or share names.”) Così inizia un articolo del WSJ, che in buona sostanza mette in luce un problema di sicurezza presente nei referer URLs di Facebook (e MySpace): quanto l’utente cliccava (parlo al passato perché ora il “problema” è stato risolto) su un annuncio pubblicitario, all’inserzionista venivano passati diversi dettagli relativi al profilo personale dell’utente cliccante. Il fatto non mi ha stupito e men che meno scandalizzato, semplicemente perché il modello di business di Facebook è strettamente legato a quantità e qualità dei dati che può ricavare dai suoi utenti. Facebook – come tanti altri social network – ha un vantaggio immenso rispetto a Google (e agli altri motori di ricerca): nei social i dati ce li metti tu, volontariamente. Solitamente, all’atto della registrazione, inserisci almeno il sesso e l’età, per poi completare il profilo con altre preziose informazioni – preziose per il social, ovviamente – come situazione sentimentale, attività e interessi. Col tempo, poi, il quadro si completa man mano che aggiungi nuovi amici, che ti connetti a gruppi e pagine. I motori, invece, devono lavorare (quasi) solo in base alle tue abitudini. E’ vero, è una vita che cercano di profilarti in qualche modo, ma lo fanno principalmente “a ritroso”. Non sei tu che fornisci al motore la tua data di nascita e la tua identità sessuale. E’ lui che cerca di capire chi sei e cosa di piace in base alle tue ricerche e alla tue abitudini. Inutile dire quale sia l’utente prediletto dagli inserzionisti pubblicitari: se devo investire soldi su degli utenti che hanno fornito (più o meno volontariamente) tutti i dati possibili e immaginabili, rispetto ad altri dei quali ho ricostruito il profilo un po’ a spanne, opterò certamente per il primo gruppo. Credo quindi che Facebook continuerà in tutti i modi a cercare di ridisegnare un concetto di privacy che è lontanissimo da quella riportata sulla cara vecchia enciclopedia, semplicemente perché è sul quel terreno che si gioca il futuro di Faccialibro. Facebook, a mio parere, non farà i soldi con l’advertising (anche se per ora pare ne stia facendo, e parecchi). Facebook farà il botto se e quando riuscirà a far digerire, a persone e governi, che il concetto di privacy in voga sino ad oggi è morto e sepolto, e che con i dati che gli hai fornito può farci di tutto, compreso il rivenderseli in tutte le declinazioni possibili. Fino a quel momento, probabilmente, Google potrà dormire sonni tranquilli 🙂