Il post di qualche giorno fa sulla “centralità” delle conversioni ha fatto emergere, fra i commentatori, 2 correnti principali: da un lato coloro che tutto sommato si trovano d’accordo con l’idea che sia giusto focalizzarsi sull’aumento delle conversioni, dall’altro – e questo è il tema che mi interessa discutere in questo nuovo articoletto – i contrari, ovvero quelli che a) non vogliono farsi carico del rischio d’impresa e b) vogliono in un certo senso “delimitare” il perimetro dell’operato del SEO specialist. Quest’ultimo punto di vista è assai interessante, e mi trova per molti versi concorde: sono da sempre in prima linea contro i tuttologi della tecnologia, contro i “ragazzi del computer” onnipresenti nelle PMI italiane, che si occupano – molte volte anche contro la loro volontà – di tutto ciò che ha a che fare con l’elettronica e l’informatica: dal cambiare le lampadine all’installare un nuovo sistema operativo, dall’aggiungere un banco di RAM ad un PC al posizionare il sito web aziendale sui motori di ricerca. Nella scelta di queste figure “nane” sta tutta la miopia del piccolo imprenditore nostrano, spesso più avvezzo all’utilizzo del fax che a quello dell’email, spesso con una età – e una mentalità – che si ferma alla macchina da scrivere. Occhio però a questo passaggio. Se l’azienda, piccola o grande che sia, si rivolge ad un SEO (esterno) per posizionare il suo sito su Google, questo personaggio dovrebbe – a mio parere – andare oltre la semplice richiesta del cliente e spingersi verso un primo livello di consulenza a tutto tondo. Intendo dire che il cliente medio (basso) dirà una frase del tipo “voglio che il mio sito sia al primo posto in Google quando cerco X”, ma probabilmente non sa che il posizionamento puro non serve a nulla, se non ci sono enne altre premesse. Ed eccoci al punto. Da un lato, un SEO onesto/etico non dovrebbe prendere un lavoro per un cliente che non ha un sito, anzi una infrastruttura, in grado di convertire decentemente. Che senso ha fare un gran lavoro per inviare tonnellate di traffico ad una pagina graficamente orrenda, lenta da caricare e inusabile? e magari fare poi il Ponzio Pilato, dicendo che il lavoro di un SEO “si ferma al posizionamento delle parole chiave concordate”? Un SEO non deve essere un super-grafico, un super-esperto di UX, un super-copywriter, ma ci sono cose che deve conoscere, almeno in superficie, perché inevitabilmente confinano e anzi si sovrappongono al suo lavoro. E se tutte queste competenze servono a dare un servizio soddisfacente al cliente, il SEO deve metterle in preventivo, rivolgendosi – e pagando – consulenti esterni. Personalmente credo sia meglio fare da subito le premesse giuste al cliente, spiegare che un buon lavoro va un po’ oltre i confini (anche di prezzo) di una attività esclusivamente SEO, e magari rischiare anche di perderlo, piuttosto che prenderlo, posizionarlo e poi beccarsi una disdetta dopo 12 mesi perché il lavoro non ha portato i risultati che si aspettava. Se guardi all’uovo oggi meglio un cliente mordi e fuggi, ma per la gallina domani – e per un mercato sano – meglio un cliente più consapevole e che non sia reduce da qualche pesante scottatura. Anche perché il cliente scottato, molto spesso, non comprerà più quel tipo di servizi – ne da te, ne da altri -, farà del passaparola negativo e contribuirà ad inaridire il già fin troppo sterile campo del web italiano.