Dark Social

Solo pochi anni fa, se inserivi il codice di Google Analytics nelle pagine del tuo sito web ottenevi una radiografia (più o meno) precisa degli accessi: dati relativi agli utenti, sorgenti di traffico, e soprattutto le tanto ambite parole chiave. Poi siamo entrati nell’era del (not provided), e pian piano Google ha oscurato agli occhi dei webmaster le tanto ambite keyword: sotto Acquisizione -> Parole chiave -> Risultati organici, in testa alla colonna domina ormai la dicitura (not provided) con percentuali ben superiori al 90%. Ma oggi c’è un nuovo fenomeno che agita le notti degli editori del web, e di quelli ai quali piace misurare con precisione gli accessi al proprio sito: sto parlando del dark traffic. A dire il vero, The Atlantic ne parlò già più di 2 anni fa, identificando nel Dark Social una tipologia di traffico molto difficile da misurare correttamente: in particolare, il traffico in arrivo da browser email (via HTTPS), instant messenger e alcune applicazioni mobile non viene correttamente tracciato dai vari sistemi di analytics – che magari lo identificano come direct o typed/bookmarked – e di conseguenza falsa le statistiche. In quel vecchio pezzo, datato 12 Ottobre 2012, venivano riportati questi dati statistici:

Quasi il 69% dei social referral è Dark! Facebook è al secondo posto con il 20%, e Twitter al terzo con il 6%.

The Guardian e il Dark Traffic

Business Insider ha raccontato nelle scorse settimane l’esplosione di questo strano traffico su un notissimo sito web di un editore britannico.

Il Dark Social su The Guardian

The Guardian – questo il nome del sito – è oggi una istituzione nel mondo web e mobile anglofono, con oltre 100 milioni di utenti unici al mese (secondo fonti di Business Insider). Tanya Cordrey, Chief Digital Officer della testata, considera il problema come spinoso: “Nel complesso, circa il 10-15% del traffico mobile sugli articoli non ha un referrer. Siamo alla ricerca di un modo per attribuire questo tipo di traffico.” Fondamentalmente, tutto iniziò con una strana esplosione del traffico diretto. Cordrey usa infatti il termine typed (“digitato”) per descrivere questo traffico che, calato a partire dal Luglio 2013, è poi tornato a salire da Gennaio 2014.

Il Typed Traffic su The Guardian

Si tratta di traffico di provenienza mobile, molto di questo indirizzato direttamente ai contenuti (Typed to Content). Nel mirino della Cordrey principalmente Android: fra le ipotesi l’uso di alcune applicazioni per la lettura di notizie attraverso questo genere di dispositivi, app che non rendono identificabile la fonte. Secondo Mathew Ingram, invece, la maggior parte del traffico Dark Social è attribuibile a Facebook mobile. Mathew cita come fonte il blog di Chartbeat, dove è riportata questa tabella:

I social che non passano referrer

in base ad una analisi effettuata da Chartbeat, fra le “potenziali fonti di Dark Social” c’è infatti proprio Facebook, che sia da desktop (in alcuni casi) che da app mobile (molto spesso) non setta correttamente il referrer. Alexis C. Madrigal, autore del vecchio pezzo su The Atlantic, conferma la tesi con quest’altro post di alcuni giorni fa, nel quale – grazie ad un suo nuovo studio – ha notato una fortissima correlazione fra il traffico typed/bookmarked e quello via Facebook mobile:

Correlazione fra il traffico typed/bookmarked e quello via Facebook mobile

Ma non c’è solo questo. Anche molto traffico proveniente dai social e dalle condivisioni, è considerato “dark”.

“Luci ed Ombre delle Condivisioni sui Social”

The Light and Dark of Social Sharing è il nome di una recente ricerca condotta da RadiumOne, dalla quale è emerso che:

  • l’84% della popolazione online condivide contenuti
  • il 32% delle persone che condivide contenuti online, lo fa solo tramite Dark Social
  • il 69% di tutte le attività di condivisione avviene tramite Dark Social, contro il 23% di Facebook
  • il 36% delle condivisioni tramite Dark Social avviene via dispositivi mobili

Lo studio, che ha coinvolto più di 9.000 consumatori e che ha utilizzato dati provenienti da più 900 milioni di utenti, ha evidenziato che sui Dark Social si parla preferibilmente di carriera e lavoro (83%), scuola e istruzione (80%) e religione e spiritualità (76%). Più in generale, questo canale è utilizzato per condividere cose one-to-one, più intime e riservate. Al contrario, sui “classici social” si parla di argomenti più leggeri, one-to-many, come… gli animali domestici (87%). Questo il quadro d’insieme delle condivisione via Dark Social, Facebook e altri social network:

Percentuale di condivisioni su Dark Social

Riassumendo: i gattini si condividono su Facebook, mentre per le cose un po’ più private si utilizzano email e messenger di vario tipo. Per quanto riguarda invece l’età anagrafica, sembra che più si è vecchi e più si è “dark”:

Età di chi utilizza il Dark Social

il 46% degli intervistati sopra i 55 anni dichiara infatti di utilizzare esclusivamente i Dark Social, contro il 19% degli utenti nella fascia 16-34 anni.

Conclusione

Per quando il tema possa aver destato un po’ di scalpore, non è affatto nuovo: già a Novembre del 2012 avevo riportato su questo blog i dati di una ricerca di Tynt, che sono molto simili al recente studio di RadiumOne:

Come si condividono i contenuti

l’82% delle condivisioni avveniva tramite “copia e incolla”, e la vecchia e cara email la faceva da padrona. E’ possibile tracciare queste visite, e quindi fare un po’ di luce su questo “traffico scuro”? RadiumOne suggerisce di abbinare ai bottoni social del sito degli URL abbreviati (e quindi tracciati); nel caso specifico utilizzano un servizio denominato Po.st, che – guarda caso – è di proprietà proprio di RadiumOne. Il servizio in questione “appende” anche un piccolo codice in coda agli URL copiati direttamente dalla barra del browser, tracciandone quindi in modo separato le eventuali condivisioni. Tu hai altre idee – o usi altri strumenti – per risolvere il problema del Dark Social? UPDATE: il 12 Gennaio 2015, Jehiah Czebotar ha pubblicato un post sul blog di Bitly dal quale emerge che Facebook ha sistemato, almeno in parte, il problema di non rilasciare correttamente le informazioni di referral. Su iOS il problema sembra quasi totalmente risolto,

Facebook iOS requests without referrers

mentre su Android sembra essere sulla buona strada:

Facebook Android requests without referrers