Web writing, search engine copywriting, persuasive copywriting: con questi termini si intendono le tecniche di scrittura dei contenuti atti a catturare l’attenzione sia degli utenti, che dei motori di ricerca. Il copywriter che lavora sul web, deve quindi essere consapevole che i suoi testi saranno letti non solo da essere umani, ma anche dai “bot” di Google, Yahoo!, MSN e di tutti gli altri search engine che vengono a visitare le nostre pagine web, per leggerle ed inserirle nei loro indici. Per sviscerare meglio l’argomento, ho pensato di fare questa breve intervista ad un amico copywriter, Alex Badalic, che può vantare una pluriennale esperienza nel campo della comunicazione. Alex, da quanto è che fai il tuo lavoro? In realtà, anche se sono relativamente pochi anni che mi occupo esclusivamente di scrivere testi, è da una vita che sono nel mondo della comunicazione come consulente sia per aziende che per le agenzie pubblicitarie. Aziende, agenzie? Si, ho iniziato alla fine degli anni ‘60 nella ditta di mio padre, che era un esportatore di tessili. Mi ha fatto studiare in una scuola svizzera specializzate in formazione del personale, allora non si usavano ancora i master, e, finito il corso mi ha messo subito al lavoro. Per lui ho fatto il pubblicitario in senso classico, il pierre e l’organizzatore di fiere. Sai, mio padre non era uno che di pubblicità ne capiva, era di un’altra generazione; per lui chi si occupava delle relazioni esterne doveva semplicemente risolvergli tutti i problemi di rapporti e di organizzazione. Ho imparato a lavorare molto, sottopagato e sotto pressione. Ma mi sono anche divertito parecchio. Allora avevo l’età giusta per farlo. Poi, morto mio padre, ho dovuto reinventarmi. Ho provato diverse strade, la produzione discografica e quella televisiva, ma non erano la mia strada. Ho finito per fare da consulente per qualche amico imprenditore, e intanto mi aggiornavo sulle nuova tecniche ai corsi serali, scoprendo Philip Kotler e David Ogilvy. Poi sono finito a fare l’account in due piccole agenzie, la prima a Milano, l’altra a Roma. Quando sono tornato a Milano, un conoscente che aveva una concessionaria di pubblicità mi ha suggerito di aprire un istituto di ricerche di mercato per occuparmi di una carenza del mercato, la rilevazione dell’audience delle radio, e ho lanciato Radar 87, la prima indagine indipendente in quel settore. Così è nata Datamedia, poi venduta a Luigi Crespi. Io, intanto, ho continuato a fare consulenze e a scrivere per diverse riviste, in particolare di informatica. Sai, mi ci ero appassionato già quando in Italia era roba per addetti ai lavori, e la maggior parte della gente, a sentire la parola computer storceva il naso. E io ero già in rete, non Internet, quella era ancora da venire, ma in Fidonet, una rete mondiale di siti amatoriali. Nel 1992 mi hanno offerto un incarico in Dorland-Ayer, una delle prime 20 agenzie italiane. E lì che, per la prima volta ho iniziato a fare il copy a tempo pieno, e mi occupavo anche del marketing information per una decina di gruppi di lavoro, oltre a curare l’house organ dell’agenzia. E in quel periodo ho scoperto Internet. Finita l’esperienza in Dorland, ho ripreso a fare consulenze. Pubblicità below-the-line essenzialmente, e realizzazione o traduzioni e di siti. Poi mi sono ammalato e per qualche anno ho dovuto abbandonare. Ora ho ripreso. Ma adesso rivolgo i miei servizi alla agenzie di pubblicità e alle web agency; a loro i clienti, a me il lavoro. Nella mia zona per fortuna, i copywriter sono pochi, e quelli che conoscono bene le lingue sono ancora meno. Ma chi te lo fa fare? Amo il mio lavoro. Se sapessi la soddisfazione che mi da scrivere… ma soprattutto, la soddisfazione che mi da studiare delle strategie di comunicazione. Non tanto il creare dei messaggi fini a se stessi, ma scegliere a chi comunicare cosa, per suggerirgli di compiere una data azione. Sembra che il concetto di posizionamento si sia perso. Tu cosa intendi per posizionamento? Si tratta si decidere che connotazione dare al prodotto o al servizio che si vuole spingere, per indirizzarlo ad una fascia di mercato ben precisa, quella che ha le caratteristiche ottimali perché l’azione abbia successo. Comporta anche conoscere il ciclo di vita del prodotto e su quali elementi della sociologia dei consumi fare leva. Ma il posizionamento in Internet? Il concetto non cambia. Stabilisci che caratteristiche salienti ha il tuo prodotto e a chi indirizzarlo, poi ci costruisci un sito attorno, lo condisci con le parole e le immagini adatte al target, ed è compito del SEO fare in modo che i motori di ricerca li indicizzino in modo da farlo trovare a chi cerca quelle caratteristiche. Cosa pensi del web advertising? Per me è ancora sottovalutato. Ho visto poca pubblicità realmente funzionale rispetto alle potenzialità del mezzo. Una recente che mi è piaciuta molto era un banner in flash per la VolksWagen americana, una Golf inseguita da macchine della polizia, e il pay-off “You’ll feel like you’re stealing it”. Bella, un mini spot di quindici secondi in uno spazio di 120×600 pixel. Molto bravi i creativi, e molto bravo l’animatore. Purtroppo non sono riuscito a risalire all’agenzia. Avrei voluto fargli i complimenti. E i numeri? Il pay per click ha un senso solo per i prodotti di grossissima distribuzione, sul largo consumo, altrimenti il tuo costo contatto è eccessivo, come la dispersione. Anche offerte come l’AdWords di Google sono ancora troppo dispersive, anche se il numero di contatti in target sono maggiori. Io credo da sempre nella comunicazione funzionale, anche poca, ma in target. Ma questo non è in contrasto con il marketing globale? Vorrei indirizzarti a concetti non miei, ma che condivido. Quando Philip Kotler, probabilmente il maggior esperto di marketing al mondo parla di “Guerrilla Marketing”, a cosa credi che si riferisca? Tu quali soluzioni suggerisci? Nulla di nuovo. Da sempre è stato compito dei creativi coinvolgere la gente e convincerla a compiere determinate azioni, e compito del marketing decidere a chi rivolgersi e quanto spendere per ottenere l’effetto desiderato. Il problema è che molti, ancora, non percepiscono li ruolo strategico sempre crescente di Internet, e non lo pianificano adeguatamente. Tantomeno lo includono nel media-mix, e di conseguenza, anche la creatività in rete resta fine a se stessa. Non basta avere un bel sito, anche se è ben presente sui motori di ricerca se non fa parte di un progetto di comunicazione globale. È più un problema culturale, un indice del cambiamento delle abitudini di consumo che non è ancora stato assimilato che non un problema strutturale. Vedrai che entro pochi anni Internet farà realmente parte della cultura di impresa. Cosa ne concludi? Che il web marketing è un adolescente con problemi di crescita, e sta a gente come noi fare in modo che diventi un adulto autorevole e responsabile. Se volete contattare Alex, potete farlo tramite il suo sito (AAA Copywriter). Aggiornamento del 22.06.2010: lo so, sembra assurdo, ma Alex Badalic è morto nel corso della notte. Mi unisco al dolore di tutti coloro che gli hanno voluto bene, che l’hanno conosciuto ed apprezzato per la sua straordinarietà. Ciao Alex.