Sono da sempre piuttosto critico verso gli aggregatori di contenuti e verso tutti gli altri “parassiti” del web, che non producono nulla se non un puzzle fatto di pezzi altrui spesso assemblati a casaccio. Eppure la gente sembra abbeverarsi sempre più alla fonte degli aggregatori (perlomeno a quelli “fatti bene”), al punto che più di 1/5 del traffico web di tipo “informativo” viene oggi intercettato da Yahoo! News, Google News & Co. (fonte:“Giornali Online, il futuro da inventare”, di Enrico Pedemonte):

Uso degli aggregatori

Personalmente ho smesso da tempo di preoccuparmi di questi “riutilizzatori di contenuti”, ma ci sono invece alcuni editori che hanno deciso di dichiarare loro guerra, e in qualche caso rischiano (forse) di vincerla. Nello specifico parlo di NLA (Newspaper Licensing Agency), agenzia che rappresenta 1.500 titoli cartacei e 900 siti web del Regno Unito, e che ha sviluppato un modello di licenza, ovviamente a pagamento, che permette all’acquirente di copiare (anche in formato digitale), fotocopiare, faxare e stampare i contenuti originali prodotti dagli editori. Alla NLA non è andato giù che Meltwater, nota società operante nel campo del media monitoring, lucrasse sul servizio di filtraggio e distribuzione di news ai propri clienti – attenzione, non si parla dunque di un puro e semplice aggregatore di notizie, ma di chi monitora i contenuti per poi fornire un report dettagliato ad aziende terze – si sono rivolti all’Alta Corte e hanno avuto ragione (perlomeno nella sentenza di primo grado). Insomma, fornire una sorta di rassegna stampa basata su determinate keyword, con dentro qualche link e qualche abstract, copiabile sul proprio PC, rischia di essere percepito come una violazione del diritto d’autore, e quindi sanzionato. Il tutto, a ben vedere, si inquadra nella logica che Associated Press porta avanti da tempo: in base ad un listino ben definito, chi vuole copiare/riutilizzare parti di un contenuto deve pagarle, e profumatamente:

Il listino di Associated Press

Ancora una volta gli editori cercano fonti di reddito diverse da quelle puramente pubblicitarie, e ancora una volta le alternative messe in campo sono tutto fuorché gradite.