I contenuti prodotti per il web sono in una profonda fase di evoluzione, che in realtà si sta rivelando una pericolosa involuzione. Lavorando da alcuni anni a contatto con gli editori, e studiando cosa gira sui vari siti italiani ed esteri (generalisti e verticali), sono ormai giunto alla conclusione che i contenuti, e parlo soprattutto di quelli testuali, abbiano imboccato una strada che sicuramente NON è quella della qualità. Abbiamo già discusso mesi fa su cosa sia o non sia questa benedetta qualità, che Google vuole cercare in tutti i modi di premiare (altrimenti non avrebbe creato il Panda, no?), ma posso garantirti che quello che funziona oggi sul web è ben altro. Titoli (e contenuti) “gossippari” Non posso pubblicare statistiche dettagliate, ma posso assicurarti che i contenuti più letti in assoluto girano attorno a rumor e gossip, non a notizie vere e proprie. Il titolo urlato fa da esca, e il contenuto leggero e magari un po’ sopra le righe genera parecchi commenti e interazioni (anche sociali, ovvero Like, Retweet e +1). Lunghezza dei testi Il testo lungo non funziona più. Se fai un bell’articolone di più pagine, che magari ti costa ore – se non giorni di lavoro – puoi star certo che viene letto in quest’ordine: prima pagina -> ultima pagina. E basta. Le pagine centrali vengono spesso saltate, l’utente medio passa dalla prima pagina del pezzo alle conclusioni e si disinteressa totalmente di ciò che si trova in mezzo. Twitter e Smartphone Come ben sai, Twitter si è smarcato dai social e ambisce ad essere una fonte di informazioni, una sorta di agenzia stampa. E già lo è, per decine di milioni di persone. Sul fronte mobile, sappiamo che la crescita degli smartphone è impetuosa: +62,4% nel 2011 rispetto al 2010, e si parla di 1 miliardo di pezzi venduti nel 2015. E quindi sempre più gente legge e leggerà news e articoli all’interno di monitor sotto i 4 pollici. Cosa lega Twitter agli smartphone? la tipologia di contenuti. Pochi caratteri, fruizione veloce, “snack news”. Conclusioni Non so se sia o meno questione di diversa distribuzione del tempo passato online, della disponibilità di nuovi dispositivi, o dell’overload delle informazioni: probabilmente la colpa è dell’insieme di tutte queste cose. Sta di fatto che il modo di dare notizie, e soprattutto quello di leggerle, non è più quello di qualche anno fa. Il mix fra la fretta, l’eccesso di fonti e la molteplicità di piattaforme e schermi di diverse dimensioni – la notizia ci può “seguire” ovunque, dentro PC, tablet o smartphone – ha abituato il lettore ad una informazione “a brandelli”, e sta obbligando l’editore a reinventarsi se vorrà continuare a mantenere il suo pubblico. Ma in questa costrizione al cambiamento faccio fatica a vedere la sopravvivenza dell’informazione profonda e di qualità, mentre vedo chiaramente lo scivolamento dell’editoria verso i “riassuntini” e i “thin content”. Con buona page del Google Panda.