Potrei scommettere che Angry Birds finirà con l’essere studiato in qualche università, e certamente non per il fatto di essere un videogioco. Angry Birds può infatti offrire un sacco di spunti a chi si occupa di marketing, branding e anche psicologia: c’è parecchio da indagare su come un semplice casual game sia stato scaricato diverse decine di milioni di volte, diventando in poco più di un anno uno dei giochi più conosciuti e giocati di tutti i tempi. Quali sono dunque i motivi del successo di Angry Birds? Innanzitutto si tratta di un casual game, ovvero un videogioco pensato per target un po’ fuori dai classici canoni: il casual gamer è non infatti un teenager (anzi, molto spesso è vicino alla mezza età), e in molti casi è di sesso femminile. Questa tipologia di giochi è molto semplice, richiede un basso impegno, e non necessita di particolari abilità o di elevata concentrazione: in poche parole ad Angry Birds puoi giocarci distrattamente, “scollegando” il cervello. A proposito di cervello: uno studio del 2008 ha rilevato che i casual game forniscono una “distrazione cognitiva”, e quindi possono trasformare positivamente l’umore e lo stato d’animo del giocatore, abbassando il livello di stress; un altro studio ha notato miglioramenti nelle persone sofferenti d’ansia e depressione. C’è inoltre da considerare l’aspetto del tempo e del “luogo”. A differenza di molti giochi complessi, che richiedono parecchia “immersione” e hardware di tutto rispetto, ad Angry Birds si può giocare tranquillamente nei tempi morti, e in mobilità. Un classico è giocare, con il proprio smartphone, nella sala d’aspetto del dottore, sul bus, in metropolitana: si, perché il giochino è disponibile per praticamente tutte le piattaforme di telefonini, e ad un costo irrisorio. A proposito di costi: Angry Birds è costato pochissimo rispetto ad altri videogiochi. Si parla di un investimento di circa 140.000 dollari – molto lontano dai costi cinematografici di tanti noti titoli – e ha già prodotto revenue per 70 milioni di dollari, rendendolo uno dei giochi più profittevoli della storia, e attirando investitori del calibro dei fondatori di Skype, che hanno iniettato in Rovio la bella cifra di 42 milioni di dollari. Interessante anche la politica di pricing. Angry Birds è disponibile in una versione free, limitata a pochi livelli ma comunque utile a viralizzare il gioco, e il prezzo molto basso (qualche euro) crea altissimi tassi di conversione: pare infatti che ben 1/4 dei download complessivi sia relativo alla versione a pagamento. Infine il prodotto è stato “serializzato” e declinato in mille salse. Oltre alla versione standard Angry Birds è infatti disponibile in una versione “Seasons”, dove uccelli e maiali si affrontano in ambientazioni festose: Halloween, Natale, San Valentino e – uscita pochi giorni fa – San Patrizio: una volta acquistato il gioco, i nuovi livelli ed espansioni vengono regalati periodicamente agli affezionati clienti, mantenendo alto il livello di fidelizzazione e contribuendo a rafforzare il brand – magari spingendo i gamer ad acquistare del merchandising (si parla di più di 2 milioni di peluche venduti!) o il futuro gioco in scatola, in uscita a maggio. In buona sostanza, un gioco sempre uguale ma che si rinnova nel tempo, che costa come una rivista, che diverte e rilassa, che si può giocare ovunque. E che si dice faccia 1 milione di dollari al mese di revenue, grazie all’advertising, con la sola versione free. Mica male per un semplice giochino basato su uccellini catapultati sopra maiali… La storia di Angry Birds è riassunta mirabilmente in questa infografica:

Infografica sulla storia di Angry Birds