“Preoccupati più del tuo carattere che della tua reputazione. Perché il carattere è ciò che tu sei, la reputazione ciò che gli altri pensano tu sia.” Questa frase di John Wooden, probabilmente valida nel mondo del basket NBA, non lo è (purtroppo o per fortuna?) nell’era del web 2.0 e dei social media. In un mondo in cui tutto viene scritto, filmato, registrato e successivamente inviato, diffuso, condiviso, questa frase potrebbe essere così riscritta (non me ne voglia il mitico coach degli UCLA): “Preoccupati del tuo carattere, ma soprattutto della tua reputazione. Perché il carattere è ciò che tu sei, la reputazione ciò che gli altri dicono tu sia. E oggi quello che gli altri dicono tu sia conta quanto (se non di più) di quello che tu sei.” Gestire la tua reputazione online è, per questo motivo, di fondamentale importanza (a tal proposito: in questo post mi riferisco per comodità/convenienza alla brand reputation ma, come è ovvio, le mie considerazioni sono in larghissima parte applicabili anche alla personal reputation).

Diamo i numeri! Gli utenti del web sono sempre più assidui/costanti (dati Nielsen Online – dic 08):

  • Navigatori italiani: 22 milioni
  • Sessioni per persona: 33
  • Tempo medio per persona: 26 ore e 11 min
  • Pagine per persona: 2.011

Impressionanti anche le dimensioni del fenomeno web 2.0:

  • 16 milioni di utenti (76% del totale)
  • 9 milioni sui blog
  • 9 milioni sui siti di video sharing
  • 12 milioni su community e social network

Sono tanti e, soprattutto, INFLUENTI! Secondo una ricerca presentata all’Osservatorio Multicanalità 2008 da Giorgio Ferrari di Nielsen:

  • l’85% degli intervistati (base: chi si connette ad internet) è abbastanza/molto d’accordo con la frase “Per me internet è la fonte principale per cercare informazioni su prodotti e servizi” (era il 74% nel 2007);
  • l’85% degli intervistati (base: totale) è propenso al passaparola (“Se sono soddisfatto/deluso da un prodotto/servizio tendo a consigliarlo ad amici e parenti”);
  • il 18% lo fa attraverso internet (“Se sono soddisfatto/deluso da un prodotto/servizio tendo a condividere la mia soddisfazione/insoddisfazione su internet”);
  • al 27% (era il 22% nel 2007) “piace leggere opinioni di altri consumatori sui prodotti/servizi di suo interesse su internet“;
  • al 15% della popolazione italiana è capitato di NON comprare un prodotto dopo aver letto un giudizio negativo su internet e al 14% è capitato l’esatto contrario.

Brand Reputation Management 2.0 Questi dati, uniti al fatto che il web è il primo ambito (in senso temporale) in cui le opinioni dei consumatori su un determinato prodotto si manifestano, spingono sempre più aziende a mettere in piedi quello che qualcuno inizia a definire Brand Reputation Management 2.0 (con il supporto di consulenti e/o agenzie specializzate). Il BRM 2.0, a mio parere, deve necessariamente comporsi di tre fasi che – anche se a regime e dopo un’introduzione graduale in linea con i ritmi e le dinamiche interne aziendali – devono procedere di pari passo alimentandosi a vicenda e andando ad instaurare un circolo virtuoso.

Monitorare, Condividere, Partecipare

Monitorare: sapere cosa si dice del tuo brand online è il primo e forse più importante passo da compiere. Monitorare le discussioni online è senz’altro utile per conoscere le opinioni degli utenti più attivi, spesso dei veri e propri opinion leader, in modo da ricevere utili indicazioni per indirizzare la comunicazione sui prodotti/brand verso determinati aspetti piuttosto che altri. Il monitoring può essere effettuato tramite strumenti gratuiti (Google BlogSearch, Twitter Search, Trendpedia, Google Insight, Technorati, Wikio, CoComment, ecc…) o attraverso l’utilizzo di piattaforme professionali a pagamento (Radian6 su tutte). Condividere: nell’era degli UGC e del “Content is the king”, la reputazione di un brand/azienda può essere costruita anche e soprattutto mettendo a disposizione dei propri consumatori contenuti di qualità. Ma condividere è inteso anche nel senso di “dividere con” i consumatori le fasi di progettazione/sviluppo/pensiero relative a nuovi prodotti/servizi, nuove strategie, ecc… Partecipare: se, come insegna il Cluetrain Manifesto, i mercati sono conversazioni, l’ulteriore passo da compiere per migliorare la propria reputazione è partecipare alla conversazione. E gli strumenti per farlo sono sempre più numerosi, a cominciare da un eventuale corporate blog, fino ad arrivare all’utilizzo di strumenti “più nuovi” come Twitter (ultimamente lo sta facendo benissimo AtacMobile), Facebook, ecc… Attualmente in Italia la fase del monitoraggio è quella più sviluppata e – di conseguenza – più proposta alle aziende da parte di agenzie specializzate e consulenti. Fondamentale è, a mio parere, lavorare nella direzione dello sviluppo anche delle altre due fasi. Obiettivo finale del BRM 2.0 dovrebbe infatti essere quello di trarre dal monitoraggio una serie di indicazioni concrete ed operative sulle possibili attività da compiere per attenuare eventuali percezioni negative e per enfatizzare quelle positive. In una sola frase: sviluppare engagement sulla base dell’ascolto. Autore: Davide “kawakumi” Basile (per il TagliaBlog).