Ho aspettato le risposte alle domande di questa intervista per parecchio tempo, ma credo proprio che ne sia valsa la pena. La lunga attesa ha mostrato lo stile da “perfezionista” di Maurizio Petrone (meglio conosciuto nell’ambiente come Petro), giovane (ha solo 26 anni) ma quotatissimo consulente SEO freelance, che mi ha ritornato le risposte nella bellezza di quasi 20.000 battute (e io che pensavo fosse un tipo riservato… 😀 ). Mettetevi comodi, e gustatevi l’intervista. Prima di arrivare alla SEO, hai acquisito competenze informatiche “a 360°”: hardware, software, networking, sicurezza e, soprattutto, programmazione. Perchè hai scelto di fare il SEO specialist? Vedo la Search Engine Optimization come il connubio ideale tra due caratteristiche che possiedo da sempre: la passione per l’informatica, e la curiosità. Quest’ultima, nel corso degli anni, mi ha spinto a studiare e praticare le varie branche dell’informatica che hai elencato. Tra le varie specialità informatiche, la SEO (lasciamo per un attimo da parte il lato Marketing, ancor più affascinante) è quella che lascia più spazio alla curiosità: è una materia ampia e molto estesa, in rapido cambiamento, e soprattutto – al contrario di altre – dà poche certezze assolute. Non solo ci sono tanti modi per raggiungere un risultato, ma non è neppure detto che lo stesso metodo sia valido sempre, e per tutti… anzi! E se non fosse iperbolico come paragone, accosterei queste caratteristiche ad un concetto ben più nobile. Ma non esageriamo… Torniamo alla SEO: con queste premesse (ed una connessione ad internet!), appassionarsi ad una materia affascinante come l’ottimizzazione per i motori di ricerca è stato per me il processo più naturale del mondo. Poi, è chiaro, si è trattato anche di saper cogliere le opportunità. Un SEO deve essere più orientato alla programmazione o ai contenuti? Quanto sono importanti (in percentuale) questi 2 parametri nel completamento della figura di un SEO? Padronanza delle tecnologie e sviluppo di contenuti sono le basi essenziali per posizionare un sito sui motori di ricerca, e il motivo è scontato: i motori di ricerca leggono e presentano i contenuti, attraverso la propria tecnologia (che si basa in gran parte su standard noti e definiti), in risposta alle richieste degli utenti. Ben venga la produzione e l’ottimizzazione di contenuti, quindi, nel momento in cui l’infrastruttura tecnica facilita e non ostacola gli spider, ma non dimentichiamo la parte in cui l’utente immette la sua query nella casella di ricerca! E’ qui che il SEO (anche quello “black-hat”) si gioca tutto: il suo compito principale è quello di tenere sotto controllo gli equilibri dinamici tra il bisogno dell’utente, il modo in cui questo bisogno è espresso, la risposta che il sito web è in grado di fornire, gli algoritmi dei vari motori, e la concorrenza. Per essere completo, secondo me, ad un SEO che non voglia ridursi a “fare solo posizionamento” (dal momento che ritengo che il posizionamento sia inutile, da solo) non basta la capacità di programmare e produrre contenuti: c’è bisogno di altre competenze, che spaziano dalla psicologia al marketing, dall’usabilità alle capacità relazionali, dall’information retrieval alla giurisprudenza, dalla sociologia al metodo scientifico, e via dicendo… L’elenco è ancora lungo; rimando in proposito ad una immagine che mi segnalò un collega in Sems tempo fa: è intitolata Colliding Web Science e traccia un grafico, impressionante seppur incompleto, degli insiemi interdisciplinari che compongono una figura “web a 360°”. Ovviamente, nella SEO la tecnica è e rimane fondamentale: quindi è indispensabile capire il networking (o almeno il modello client-server su protocollo IP), i principi dell’accessibilità, la sicurezza, l’architettura dell’informazione… e saper applicare tutte queste conoscenze in almeno un linguaggio di programmazione, meglio se orientato al web, accompagnato dalla pratica di almeno un DBMS¹. Se poi si è capaci anche di fare reverse-engineering attraverso test e prove sul campo, tanto meglio. Non bisogna però perdere mai di vista il fatto che la tecnica è soltanto funzionale ad un fine, che è quello di mettere un sito web nelle condizioni, attraverso i motori di ricerca, di rispondere in modo soddisfacente alle necessità dell’utente. E questo, deve necessariamente coincidere, almeno in parte, con gli obiettivi di un progetto SEO (o, meglio, SEM). Dal 2006 al 2008 hai lavorato in Sems. Credi che per un SEO sia importante lavorare in una agenzia di prestigio, o è meglio tentare la strada del freelance? Guardando alla mia storia professionale, dico entrambe. Ogni percorso ha i suoi pro e contro: personalmente, in Sems ho avuto l’occasione di confrontarmi quotidianamente con professionisti di assoluto rilievo, e con clienti di dimensioni davvero importanti. Lo scambio di idee quotidiano, e uno sguardo a certi dati dal di dentro, è qualcosa che non si trova facilmente altrove; inoltre, capire come funzionano le dinamiche di aziende di grandi dimensioni (parlo dei clienti) mi ha insegnato molto. Per tutto questo, non posso che ringraziare Sems, Marco Loguercio e tutti i colleghi di quello staff meraviglioso con cui ho condiviso questo anno e mezzo, e che rivedo ogni volta con piacere. Da pochi mesi ho iniziato una nuova avventura professionale, come consulente freelance. Anche questo ha i suoi vantaggi: posso selezionare i clienti uno per uno e organizzarmi il lavoro come meglio mi aggrada, inoltre sui progetti interni (che al momento sono la maggioranza rispetto al lavoro svolto per clienti) ho il controllo completo e non devo attendere né negoziare alcuna approvazione sulle mie decisioni. Inoltre, i profitti non vanno divisi. Gli svantaggi? Beh, oltre a tutto ciò che non hai e che avresti lavorando per un’agenzia, come freelance devi occuparti di molte altre cose: amministrazione, lato commerciale, legale, accounting… e poi manca la sicurezza dello stipendio fisso: quanto guadagni è proporzionale a quanto (bene) lavori. E’ una scelta, e ad un professionista capace non mi sentirei onestamente di consigliare una strada piuttosto che un’altra. (Poi ci sarebbe anche il SEO in-house, ovvero assunto a tempo pieno da un solo cliente, ma è un altro discorso.) A quanti desiderano fare del proprio “hobby” della SEO una professione, suggerisco invece di tentare la strada delle agenzie: non conosco le realtà più piccole, ma in quelle più affermate c’è sempre un gran bisogno di nuovi talenti. Se si ha volontà e passione si impara moltissimo e, almeno in Sems (non mi esprimo sulle altre per ovvi motivi), l’ambiente di lavoro è molto stimolante. Tra SEO specialist c’è collaborazione o diffidenza? Come sono i rapporti tra SEO (e tra agenzie)? Per come la vedo io, c’è molta collaborazione. Il mercato in Italia sta vivendo da anni una solida espansione, e i margini sono ancora enormi: se guardiamo all’Europa, siamo ancora molto indietro. E non parliamo proprio degli USA! La domanda c’è, mentre l’offerta, quella seria almeno, latita per penuria di personale qualificato. Questo, se da un lato è un problema per le agenzie, dall’altro favorisce un ambiente più rilassato tra colleghi: non si sente la pressione della concorrenza nei rapporti, perché c’è spazio per tutti. Nella pratica, questo fa sì che i vari SEO e SEM Specialist si incontrino volentieri, sui forum così come in occasione di eventi e aperitivi, a discutere aspetti da “insider” del proprio lavoro: fatta salva una dovuta riservatezza finalizzata a proteggere la clientela e i propri progetti, ci si scambia volentieri idee, pareri ed esperienze. Le conferenze ed i blog sono il segnale più evidente di questa tendenza: i professionisti sono più che disponibili a condividere le proprie conoscenze, spesso anche in modo amichevole e disinteressato, e lo fanno perché uno specialista preparato in più non li danneggia, anzi: fa solo bene al mercato. Le agenzie in quanto tali, fra di loro, sono forse meno aperte dei propri dipendenti presi ad uno ad uno, ma non dimentichiamo che le agenzie sono fatte proprio da singoli specialisti: lo scambio è granulare piuttosto che “istituzionale”, ma non manca di certo! Comunque, vorrei sottolineare che non è soltanto una questione di mercato: tornando agli Stati Uniti, dove il mercato è praticamente saturo, vediamo comunque proliferare vere e proprie testate giornalistiche specializzate, e poi blog, forum, social network di settore ed eventi didattici vari, che sono di una qualità elevatissima. Questo, io credo, è un segno che questo lavoro ha proprio un bisogno fisiologico dello scambio di opinioni. Ogni SEO ha i suoi segreti, ma normalmente questi riguardano per lo più dati, clienti e in generale la protezione del proprio business. La tecnica, l’intuizione, l’opinione in generale sono condivise volentieri dagli specialisti migliori. Puoi dirmi quali SEO italiani stimi di più, e i motivi? Domanda insidiosa… sono sicuro che una lista di nomi sarebbe di grande utilità per chi legge, ma spero mi capirete se dico che preferisco non fare nomi. In fin dei conti, alla fine non siamo così tanti da aver realmente bisogno di una Top100 🙂 Comunque posso risponderti dicendo che apprezzo molto i SEO curiosi e determinati, ovvero quelli che tentano di dimostrare –anche solo a sé stessi– le proprie teorie e congetture attraverso osservazioni e test sul campo. Credo che sia uno dei pochi modi che ci sono per arrivare a comprendere davvero come funziona un motore di ricerca. Ancora di più però apprezzo chi sa essere non soltanto SEO, ovvero quei Grandi SEO che non si fermano a ragionare solo sul posizionamento in quanto tale, ma che sanno cogliere le opportunità che il progetto, ed il web stesso, portano con sé; quelli che fanno ogni cosa tenendo sempre a mente quali sono gli obiettivi di business del cliente, e che quindi sanno proporre soluzioni efficienti e vantaggiose, quando non innovative. Un SEO che lavora in questo modo tende a considerare naturalmente il posizionamento sui motori di ricerca – ed il web marketing stesso – ad essere un mezzo, e quasi mai un fine. Ho avuto la fortuna ed il piacere di incontrare e di lavorare con diversi colleghi (alcuni di essi sono persone stupende anche al di là dei meriti professionali) dotati di queste caratteristiche, ma rimango affascinato ogni volta che le intravedo in qualche SEO che magari sta “dietro le quinte” senza rivelare il suo nome. Sei uno dei pochi SEO specialist italiani citati all’estero. Il motivo? è solo merito del fatto che scrivi in inglese? Scrivere in inglese è senza dubbio una condizione assolutamente necessaria. Ma non basta, non è sufficiente: se si vuol essere citati, bisogna distinguersi in qualcosa, o per lo meno essere stati citati in passato da qualcun altro. Ti dirò la verità. La mia partecipazione al documento che esamina i fattori che compongono il valore di un link è dovuta al fatto che Wiep Knol, colui che l’ha organizzato, è andato a spulciarsi gli elenchi di coloro che hanno parlato di Link Building ai vari Search Engine Strategies: mi ha trovato tra i relatori della passata edizione milanese, e da lì mi ha contattato. Ovviamente, ho accettato l’invito. In seguito, Stoney DeGeyter deve aver preso nota dell’elenco dei partecipanti a quel documento, e mi ha quindi invitato a partecipare al suo progetto Link Building Secrets. Le segnalazioni di questi documenti sono rimbalzati di post in post nell’intero ambiente SEO mondiale, quindi è stato facile essere notato e menzionato in modo specifico (ho apprezzato molto, tra i tanti, l’intervento di Aaron Wall in questo breve post che mi ha dedicato). Non si tratta comunque degli unici due casi. Ne cito solamente un altro: tempo addietro, nel 2006, la mia guida all’ottimizzazione di WordPress fu ripresa da un blog più noto (dietro esplicita richiesta, espressa come commento all’interno di un post simile), e da lì ri-segnalata in centinaia di articoli sul tema. In quel caso però feci l’errore di non associare da subito l’articolo al mio nome… Pazienza! Comunque, non è necessario essere per forza presenti ai convegni o essere già stati menzionati in passato, se si vuol essere citati anche all’estero: così come nel nostro piccolo paese, per farsi notare bisogna distinguersi e partecipare. Costruire una rete di relazioni fatta di commenti nei forum più frequentati, guest post sui blog più autorevoli (come YouMoz, la sezione user-generated del blog SeoMoz), oltre ai classici contatti diretti via e-mail, MSN o Skype con varie persone “del giro”, sono metodi alla portata di molti. Resta inteso che, per acquisire visibilità all’estero, utilizzare la lingua inglese è un obbligo. Oltre, è chiaro, ad avere qualcosa di originale e di valore da dire. Come vedi evolvere il posizionamento? Siamo già arrivati al posizionamento “2.0”, ovvero quello che si avvale della presenza attiva e massiva su internet di utenti che generano e condividono contenuti. Qualcuno dice che non è nulla di nuovo: UGC², aggregazioni, condivisioni e segnalazioni esistono fin dai tempi dei siti fatti con FrontPage, anzi a voler ben guardare, anche da parecchio prima che nascesse il web. Il punto è che adesso la proporzione numerica tra chi produce contenuti online e chi ne fruisce si è assottigliata parecchio, grazie a nuove piattaforme e ad un’acquisita consapevolezza degli utenti di quanto sia facile e “bello” esprimersi in rete. Se a questo aggiungiamo che la penetrazione di internet è aumentata esponenzialmente negli anni, moltiplicando il totale degli utenti connessi, è facile scorgere la differenza. Un altro fattore che ha mescolato parecchio le carte in tavola si chiama Universal Search, ovvero l’introduzione, resa celebre da Google e ripresa anche da altri, di elementi multi-mediali come immagini e video nelle SERP, che si aggiungono a news e riferimenti geografici. La pagina web con testo e link non basta più, se si vogliono coprire gli spazi per essere trovati bisogna darsi da fare su parecchi fronti. Questo è il presente. Sono certo che il futuro ci riserverà parecchie sorprese, ma voglio azzardare qualche previsione. L’Italia, dopo il Giappone, è uno dei paesi col più alto numero di dispositivi mobili per persona fisica. Telefonini, smartphone, palmari e simili, sono diffusi in modo realmente capillare tra la popolazione. In Italia il mobile search non è ancora davvero decollato, a causa della mancanza di abitudine a utilizzarli per navigare su internet. Questo perché da noi Internet significa PC (o Mac). Quando gli italiani saranno pronti ed inizieranno a navigare e cercare dal proprio telefonino, sarà una rivoluzione: limiti tecnologici del dispositivo e forti connotazioni geografiche, circostanziali e sociali delle ricerche, oltre alle caratteristiche anagrafiche dell’utente, saranno elementi da tenere in particolare considerazione da chi vorrà fare SEO rivolta agli utenti in mobilità. I telefonini però non saranno l’unico dispositivo che consentirà l’accesso ad internet: sempre in Italia, abbiamo un parco auto vastissimo, e i veicoli sono sempre più hi-tech. Oggi è il GPS, domani sarà Galileo, ma dall’interrogare l’auto per conoscere la rotta ad espandere la ricerca per ottenere informazioni sull’hotel più vicino il passo è breve. E, dopodomani, i computer saranno integrati in molti altri posti: dal frigo (che, quando scarseggiano le uova, ti chiederà se vuoi ordinarle… e magari ti presenterà qualche offerta e ricetta, personalizzata –come lo sono le ricerche di Google già oggi- sulle tue preferenze) al televisore, che ormai sarà un tutt’uno con quella che sarà l’evoluzione degli odierni Media Center, ogni dispositivo di uso quotidiano sarà una finestra sulla rete. Ed ognuno sarà utilizzato anche come mezzo per le ricerche, che avranno caratteristiche e modalità ogni volta diverse. Credo che i SEO di domani e di dopodomani dovranno imparare a confrontarsi anche con questi scenari, in un futuro forse non troppo lontano. Dal lato dei motori di ricerca, poi, mi aspetto grosse novità su due fronti soprattutto: capacità linguistiche (intese come interpretazione incrociata di idiomi) e ricerca semantica. Ricordi con particolare piacere qualche tua intuizione o qualche particolare che hai poi usato nelle tue tecniche di posizionamento? Ce ne sono diverse. Una riprende alcuni concetti dal cosiddetto “keyword sniping”, di cui si è parlato nel tuo blog, e che ho anche commentato. Applicare la tecnica solo alla scelta delle keyword però è riduttivo, e siccome mi sembra che nessuno abbia ancora espresso certi concetti (anche se questo ovviamente non significa che li abbia inventati io), prima o poi ci farò un bel post dettagliato sul mio blog. Un’altra è una tecnica che permette di ottenere backlink dalle immagini: ci ho perso due notti solo per il testing (e altre due per documentarla), ma ne vado fiero perché è tutta farina del mio sacco. Sto sperimentando e valutando anche diverse altre chicche, che spaziano dall’utilizzo dei dati di Web Analytics al peso dei TLD³ nel ranking, ma per il momento non posso dire altro dal momento che si tratta di Work in Progress. Per il resto, un aspetto che mi ha sempre affascinato particolarmente della SEO è l’attività Link Building: la creatività che si può esprimere in questo campo, e i risultati di piccole azioni e rapporti personali, riescono ogni volta a stupirmi. A chi cercasse un consiglio in questo senso, dico: dividete il lavoro in due fasi. Nella prima, andate a cercare chi è interessato a linkarvi (non parlo delle directory), e contattatelo personalmente. E’ il metodo più vecchio del mondo, ma funziona… l’abilità sta nel selezionare le fonti, individuando ogni volta la ragione migliore per la quale quella determinata persona dovrebbe linkare quella determinata pagina. Nella seconda fase, fate in modo che sia direttamente chi vuole linkarvi a chiedervi di farlo. Non conosco strategie migliori di questa 🙂 Parlaci dei tuoi obiettivi nel breve, medio e lungo termine. Nei prossimi mesi, dovrò aggiornare seriamente sia il mio blog che il sito vetrina. Ho già del materiale in cantiere, senza sbilanciarmi troppo credo che quest’anno riuscirò a mettere online le prime novità. Nel medio termine, ho intenzione di sviluppare ed espandere alcuni miei siti, sia per studio che per viverci; inoltre già pregusto il lavoro sui progetti di un paio di clienti che si preannunciano particolarmente promettenti. Nel lungo periodo, mi piacerebbe riuscire a colmare alcune lacune che mi porto dietro da troppo tempo: per dirne giusto un paio, vorrei studiare la matematica (che ho un po’ tralasciato al liceo) per applicarmi al meglio in alcune branche come la statistica ed il calcolo, e rafforzare le mie basi di marketing (che ho affrontato solo sul campo, ma mai in prospettiva accademica). E poi vorrei seguire ciò che la mia personalità mi suggerisce da anni di fare, ovvero: trasferirmi in un posto caldo, in riva al mare, possibilmente all’estero. Prima di fare tutto ciò, però, vorrei ringraziare Tagliaerbe per avermi offerto tutto questo spazio per esprimermi nel suo blog. A buon rendere, Davide!