Da qualche tempo a questa parte, la comunità SEO si chiede sempre più insistentemente se Google abbia inserito nuovi parametri all’interno del suo algoritmo; oltre alla originalità dei contenuti, alla qualità dei link e agli altri elementi “storici”, si insinua il dubbio che vengano presi in considerazione (ad esempio) i click nei risultati nelle SERP. Personalmente, vorrei porre invece l’accento su di un altro parametro: il Bounce Rate. Conosciuto anche come frequenza di rimbalzo (o, con parole più crude, tasso di abbandono), misura coloro che “rimbalzano via” velocemente dal nostro sito dopo aver visto una sola pagina. Con la nuova interfaccia grafica di Google Analytics, la Frequenza di rimbalzo è messa in bella evidenza, direttamente sulla pagina principale del servizio, insieme ad altri parametri strettamente legati a questa (come il rapporto pagine/visita e il tempo medio trascorso dall’utente sul sito):Ciò ha creato in alcuni il dubbio che Google abbia iniziato a tener conto del Bounce Rate nell’ambito del posizionamento delle pagine web all’interno delle sue SERP: un tasso di abbandono elevato e in tempi troppo brevi (diciamo sotto i 30 secondi), potrebbe far infatti supporre che l’utente non trovi utile/interessante la pagina sulla quale è atterrato, e quindi Google potrebbe farla scendere di posizione. Si potrebbe però obiettare che non tutti i siti (e le pagine contenuti in essi) sono uguali; traducendo (liberamente) questo intervento su WebmasterWorld.com, esistono infatti almeno 6 tipologie di siti/pagine (e di visitatori) che generano un alto bounce rate:

  • un sito con una “splash intro” con un link del tipo “clicca qui per proseguire”;
  • un visitatore che sta confrontando vari siti per acquistare un prodotto online, e prende velocemente nota della pagina (=mette un bookmark) per poi tornarci successivamente;
  • un visitatore che sta sulla pagina per un tempo più lungo del timeout della stessa (può capitare su alcuni ecommerce);
  • un visitatore che trova immediatamente nella pagina la risposta che cercava;
  • un sito con annunci pubblicitari molto pertinenti: l’utente potrebbe trovare immediatamente nell’annuncio ciò che cerca (e quindi cliccarlo);
  • una pagina che riceve traffico con parole di carattere generale: solo una piccola parte di visitatori potrebbe quindi proseguire nella lettura di tali contenuti.

Aggiungerei a questi 6 punti il tipico caso di un blog: chi lo aggiorna quotidianamente, magari con post molto brevi e con una utenza affezionata, sa molto bene che il bounce rate è elevato (=mordo il post e fuggo senza proseguire su altre pagine). In ogni caso, nel Centro assistenza di Google Analytics sono presenti più volte frasi del tipo:

  • “considera la riprogettazione delle pagine che presentano una frequenza di rimbalzo elevata tra quelle elencate”;
  • “una frequenza di rimbalzo elevata indica una pagina di destinazione che dovrebbe essere riprogettata o personalizzata per l’annuncio specifico al quale è collegata”;
  • “una frequenza di rimbalzo elevata in genere indica che le pagine di entrata (destinazione) non sono pertinenti per i tuoi visitatori. Puoi ridurre al minimo le frequenze di rimbalzo personalizzando le pagine di destinazione in base a ciascuna parola chiave e a ciascun annuncio pubblicato. Le pagine di destinazione dovrebbero fornire le informazioni e i servizi promessi nel testo dell’annuncio”.

Non è dato sapere quanto grosso deve essere il numerino percentuale per considerare elevata la frequenza di rimbalzo: sta di fatto che se utilizzate Google Analytics, avete un bounce rate elevato e iniziate inspiegabilmente a precipatare nelle SERP, provate magari ad eliminare momentaneamente il servizio di statistiche di Google dalle pagine incriminate… chissà che, magicamente, non tornino a decollare 🙂 P.S.: petro in questa discussione interviene indicando 2 interessanti link sull’argomento: – Proof Google is Using Behavioral Data in Rankings (su SEOmoz); – Google bounce factor research data is in (su 1st Search Engine Rankings Seo Blog).