Ci sono ben pochi dati che possano dimostrare l’importanza degli influencer nel social marketing. Piuttosto, i dati suggeriscono che i contenuti e le idee online si diffondono tramite un gran numero di persone che condivide con piccoli gruppi. Per esempio, gli utenti utilizzano piattaforme social come BuzzFeed e StumbleUpon per scoprire contenuti da condividere con amici, familiari e colleghi. Insieme, queste 2 piattaforme fanno più di 4 miliardi di page view ogni mese, distribuite fra un’ampia gamma di contenuti diversi fra loro. Secondo quanto rilevato da Buzzfeed e StumbleUpon, il comportamento alla base delle condivisioni rispecchia il mondo fisico e non la pratica di marketing dei cosiddetti influencer. Le 2 aziende hanno svolto uno studio congiunto che ha dimostrato che la condivisione online – anche quella virale – avviene attraverso tanti piccoli gruppi, e non attraverso aggiornamenti di stato o tweet di pochi influencer. Le persone influenti possono essere in grado di raggiungere un vasto pubblico, ma il loro impatto è di breve durata. Il contenuto diventa davvero virale quando si diffonde oltre una certa sfera di influenza, passando attraverso tutto il social web e tramite persone assolutamente normali che lo condividono con i loro amici. BuzzFeed ha analizzato i 50 contenuti che hanno ricevuto il maggior traffico da parte di Facebook, a partire dalla metà del 2007. Una manciata di questi post ha ricevuto milioni di referrer da Facebook, e anche il più piccolo ha preso quasi 100.000 view da Facebook. Ma il rapporto medio fra visualizzazioni da Facebook e condivisioni è stato solo di 9 a 1. Ciò significa che per ogni condivisione su Facebook, solo 9 persone hanno visitato il contenuto. Anche i più grandi contenuti di Facebook sono il prodotto di un sacco di condivisioni “fra intimi” – e non di una persona che ha fatto una condivisione, e centinaia di migliaia di persone ci hanno poi cliccato sopra. E il rapporto medio di Twitter è ancora più basso, 5 a 1. Spesso si tende a comparare la condivisione sui social col passaparola, ma quando consigliamo qualcosa tramite una conversazione, non usiamo un megafono per diffondere il nostro messaggio. Per capire meglio il mondo dell’outbound sharing, StumbleUpon ha studiato più di 5,5 milioni di condivisioni per un periodo di 45 giorni. Il risultato ha indicato che le condivisioni dirette con amici sono le più comuni. Per ogni condivisione in uscita verso un social, l’utente di StumbleUpon ha condiviso direttamente almeno 2 volte (via StumbleUpon o email): un rapporto di 2 a 1. Da notare anche che diversi tipi di contenuti producono modalità di condivisione diverse fra loro. Per esempio, i video su StubleUpon: quelli visti per 2-3 minuti registrano un picco di condivisione verso i social, mentre quelli visti oltre i 4 minuti registrano un incremento delle condivisioni dirette di 5 volte. Ciò potrebbe significare che i video più lunghi, e probabilmente più coinvolgenti, portano gli utenti a percorsi di condivisione più “intimi”. I contenuti più brevi e digeribili, invece, si prestano a percorsi di condivisione più aperti. Ciò che emerge è un quadro dove i contenuti diventano virali quando molte persone li condividono nelle loro normali cerchie di contatti. L'(ovvia) evidenza suggerisce che il miglior modo per rendere virale un contenuto sia quello di raggiungere milioni di persone con un grande contenuto altamente condivisibile (e a sua volta ricondivisibile). Non ci si affida dunque al rischio – o spesso l’impossibilità – di trovare personaggi influenti. In altre parole, la stragrande maggioranza delle condivisioni evidenzia il passaparola che avviene nel mondo reale. E suggerisce che questo è particolarmente vero quando viene da contenuti che le persone ritengono engaging. Per ottenere un gran numero di condivisioni, i marketer e gli editori dovrebbero concentrarsi su contenuti in grado di “toccare le corde” e portare le persone a parlarne con i loro colleghi, amici e familiari. I social media consistono nel coinvolgere le persone in conversazioni che rispecchiano il mondo offline, piuttosto che inseguire il mito degli influencer. Liberamente tradotto da How Content Is Really Shared: Close Friends, Not ‘Influencers’, di Jack Krawczyk e Jon Steinberg.